Notiziario del Lavoro

Rivista di Organizzazione e Cultura d'Impresa


Speciale Telelavoro

Esperienze internazionali: l'organizzazione e la nuova cultura

Adattamento organizzativo e diffusione di nuova cultura: il telelavoro dentro le Telecom

Patrizio Di Nicola,
Università «La Sapienza» di Roma, Coordinatore Associazione Lavoro & Tecnologia


La commistione e l'interscambio tra esperienze formali e informali sembra essere la strada più feconda per lo sviluppo del telelavoro nelle Telecom, anche se il trasferimento delle esperienze non è automatico. Di qui l'esigenza di adattare le strategie di successo alle specificità di ogni organizzazione prima di adottare il telelavoro.



La strada del telelavoro è disseminata di profezie suggestive che non si sono realizzate. Nel 1970 le compagnie telefoniche americane e giapponesi - la AT&T e la NTT - erano convinte che, di lì a venti anni, la totalità o almeno i due terzi degli impiegati dei loro paesi avrebbe telelavorato. British Telecom, dopo approfonditi studi, nel 1974 giungeva alla conclusione che il lavoro a distanza era applicabile, nel solo Regno Unito, ad oltre 13 milioni di persone (cfr. Huws, 1994; 1994a).

Gli anni Ottanta si aprono con il libro del futurologo Alvin Toffler (1989, ed. or. 1980) che rilancia il sogno del telelavoro per la maggior parte delle popolazioni del mondo industrializzato: ricomposizione delle famiglie, flessibilità, minore stress; il lavoro si sarebbe umanizzato. Le stime sul lavoro a distanza riprendono con vigore: in Francia si attendono almeno 400 mila telelavoratori in pochi anni, mentre gli istituti di ricerca americani parlano, ora del 40% di attività telelavorabili, ora di 15 milioni di futuri telecommuters. Empirica, uno dei maggiori think thank tedeschi stima in oltre 10 milioni i possibili telelavoratori nei maggiori Paesi europei (Cepollaro, 1986, pag. 150). Dieci anni dopo Korte e Wynne, affermano mestamente: «più le stime sono recenti e meno sono ottimistiche; i vari autori scoprono che la diffusione del telelavoro è davvero lenta, ma l'evoluzione è costante» (Korte, 1995, pag. 18).

Perché il telelavoro non è decollato, come auspicavano i molti che se ne sono interessati sin dagli inizi? La tecnologia a disposizione delle aziende permetteva allora - e ancor più oggi con l'avvento dei computer personali e delle reti di trasmissione dati a basso costo - di lavorare rimanendo distanti dall'ufficio. E i vantaggi del telelavoro - almeno quelli sui quali gran parte della pubblicistica ha insistito: riduzione dei costi, aumento della motivazione, benefici per la collettività ecc.- sono noti. Eppure questa conoscenza non è bastata per far passare il telelavoro dalla sperimentazione al mercato, dalle iniziative pionieristiche alla sua larga diffusione. La sua praticabilità tecnica non si è accompagnata con la volontà di svilupparlo. Se, come ricorda il Gruppo di esperti della Unione Europea sulla Società dell'Informazione, espandere il telelavoro dipende «dall'iniziativa delle imprese e degli individui» (Luc Soete et ali, 1996, pag. 20), questa è stata tutt'altro che irresistibile. Le aziende non hanno trovato conveniente adottarlo? È probabile. Infatti: «da un punto di vista tecnico potrebbe anche essere la stessa cosa collocare una stazione di lavoro in Alaska anziché nell'ufficio accanto, ma un'azienda utilizzerà questa possibilità solo se ne trarrà un vantaggio economico» (Telecom Italia, 1996, pag. 16).

Attorno al lavoro a distanza e in rete, insomma, non si è coagulata l'attenzione delle aziende e non è nata una visione strategica della sua adozione come possibile strumento di flessibilità: «Il telelavoro è più che lavorare a distanza. Esso è significativo non solo perché associato con le Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione, ma anche perché implica nuovi sistemi di direzione e di organizzazione del lavoro» (Luc Soete et ali., 1996, pag. VI). Nella società postindustriale il telelavoro, pur avendone le potenzialità, non è riuscito ad assumere, nelle culture delle aziende e degli individui, il ruolo di nuovo paradigma del lavoro. Tra le aziende che lo hanno sperimentato, molte sono state attratte dalla possibile e immediata riduzione dei costi; altre lo hanno considerato un meccanismo di snellimento particolarmente elaborato, ma tutto sommato poco conveniente: «se una attività è delocalizzabile (sia sotto il profilo tecnico che strategico) allora la strada migliore è l'outsourcing che consente di mettere in competizione i fornitori» (Telecom Italia, 1996, pag. 16). Sono rarissimi, nel panorama internazionale, le aziende che hanno utilizzato le tecnologie dell'informazione, di cui il telelavoro è figlio, per ripensare la struttura organizzativa e gli stili manageriali. Manca, come nota la Commissione Europea, un approccio culturale alle nuove tecnologie che permetta la loro internalizzazione nell'organizzazione sociale dell'azienda (European Commission, 1996, pag. 10).

Le cause di questa situazione sono molteplici: anzitutto la scarsa confidenza dei cittadini - e dei lavoratori e delle imprese - con le tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Una ricerca svolta negli Stati Uniti nel 1994 giunse alla conclusione che la capacità individuale di usare strumenti telematici era direttamente correlata con la voglia di telelavorare. Il 60% di chi possedeva un computer e un modem aveva lavorato, nelle settimane precedenti l'intervista, almeno un giorno da casa; la quota scendeva al 42% per coloro che avevano solo il computer e al 20% per gli altri (Times Mirror Center for the People and the Press, 1994). Sulla necessità della formazione insiste anche la Commissione di Bruxelles, che propone di utilizzare i periodi di disoccupazione come tempi per l'apprendimento delle tecnologie che sono alla base della Società dell'Informazione: «anziché avere 9 milioni di disoccupati che si dequalificano... gli Stati membri dovrebbero avere 9 milioni di persone coinvolte nell'aggiornamento professionale» (European Commission, 1996, pag. 22).

Ma chi doveva fare cultura aziendale sul telelavoro, sviluppando esempi pilota e favorendo processi di emulazione? Le grandi multinazionali o le piccole imprese ? Il terziario avanzato o la Pubblica Amministrazione? Chi si espande o chi deve difendersi dal mercato? I candidati ottimali per assolvere questa incombenza sono forse - questa la ragione dell'oggetto di studio - le grandi aziende di telecomunicazioni? Le Telecom, in fondo, possono attendersi vantaggi consistenti dall'utilizzo del telelavoro e, più in generale, dall'inserimento delle tecnologie dell'informazione nei posti di lavoro. Infatti:
a) le Telecom sono compagnie di dimensioni gigantesche, con decine di migliaia di dipendenti. Sono presenti capillarmente con personale, strutture e uffici disseminati in ogni angolo delle nazioni. Il loro prodotto - il trattamento e il trasferimento delle informazioni - è immateriale, è ottenuto con le tecnologie più avanzate ed è, quasi per definizione, fortemente telelavorabile. La delocalizzazione delle attività renderebbe più flessibile il processo produttivo, l'erogazione dei servizi e il rapporto con gli utenti. Il telelavoro, infine, rappresenta un'innovazione a basso costo per le Telecom, in quanto è loro la proprietà - a volte in esclusiva - delle reti e delle tecnologie di comunicazione;
b) sperimentare, produrre e vendere soluzioni integrate per il telelavoro può costituire per le Telecom un'importante linea di business. Vi è la possibilità di stimolare nuovi mercati per hardware e software dedicati ai settori più disparati, dal SOHO (Small Office Home Office) sino alle grandi reti aziendali, affrontando tematiche come la sicurezza dei dati, gli strumenti per la produttività dei gruppi di lavoro delocalizzati, la multimedialità, l'ergonomia delle postazioni di telelavoro integrate. Da ultimo, naturalmente, il telelavoro incide sui prodotti fondamentali delle Telecom: le reti, i collegamenti hi-speed, il traffico dati.

È evidente, quindi, che la ricerca sulla diffusione - o la mancata diffusione - del telelavoro debba partire dallo studio delle esperienze delle imprese di telecomunicazioni. Alcune di queste, come vedremo, hanno utilizzato il telelavoro al loro interno - in condizioni quasi di laboratorio - in maniera strategica, generando, a volte in maniera inconsapevole, un processo di fertilizzazione culturale del management. Le soluzioni che offrono al mercato sono globali: tengono conto dei problemi tecnologici, ma spaziano anche sulla psicosociologia del lavoro, il riposizionamento dell'organizzazione produttiva, i problemi contrattuali e di relazioni sindacali, le problematiche di sicurezza delle informazioni, legali e di proprietà intellettuale. Quelle Telecom, lo vedremo nei sei casi analizzati, hanno contribuito, ognuna secondo le proprie tradizioni aziendali, a far crescere all'interno e all'esterno una cultura diffusa del telelavoro come moderno strumento - non certo l'unico - di flessibilità aziendale.

Le esperienze di telelavoro interno: una panoramica

MCI, Telstra e Pacific Bell, sono gestori di telecomunicazioni con un'ampia esperienza di telelavoro. I loro casi, pur non rientrando tra quelli che abbiamo definito "eccellenti", sono risultati particolarmente interessanti in quanto sviluppano approcci - formali e ancor più spesso informali - al telelavoro, replicabili facilmente al di fuori del ristretto ambito aziendale.


MCI
La strategia di telelavoro della MCI, uno dei più grandi operatori di telecomunicazioni americani, è incentrata sugli addetti alle vendite e sui tecnici che curano l'assistenza ai clienti. Si tratta, quindi, di personale particolarmente adatto al telelavoro mobile. Nell'aprile 1995 MCI ha iniziato l'informatizzazione dei funzionari sul campo (circa 5 mila), ai quali sono stati forniti computer, software, tecnologie di rete e quant'altro necessario per lavorare senza dovere, alla fine o all'inizio della giornata, recarsi in ufficio. L'investimento ha raggiunto i 50 milioni di dollari. La seconda fase dell'esperimento consiste nella costruzione di Rally Center. Il primo è stato inaugurato a Boston il 24 gennaio 1996, mentre altri 200 ne sorgeranno in varie località degli Stati Uniti, per un costo complessivo di 25 milioni di dollari.

Il Rally Center non è un telecentro classico, ma un luogo di incontro per il personale di vendita che abitualmente telelavora: Rick Ellenberg, Direttore del progetto, lo definisce «il posto di lavoro virtuale». Ciascun centro, grazie ad una progettazione architettonica assai avanzata basata su tramezzature e arredamenti mobili, può ospitare più persone di un ufficio classico. A Boston trovano posto contemporaneamente, in un'area di 7.000 metri quadri, 138 venditori e 25 impiegati stabili (con un risparmio, rispetto agli uffici tradizionali, del 35%). Nel corso della giornata vi è un'ampia rotazione di personale, grazie ad un sistema computerizzato di prenotazione degli spazi. Il funzionamento è concettualmente molto semplice: ciascun venditore, in base alle proprie esigenze, riserva una scrivania (o un tavolo riunione) per un certo giorno e un dato orario. Il sistema di prenotazione lo informa del numero di telefono che gli verrà assegnato per il tempo di presenza nel centro, nonché dei colleghi che troverà sul posto.

Il Rally center è composto di quattro ambienti principali:

Heart
È il cuore dell'ufficio virtuale. È dotato di un bar semicircolare con tavolini e sedie e di un maxi schermo utilizzabile per visionare videocassette addestrative e fare dimostrazioni video di nuovi prodotti.

Home Base
Si tratta di un'area dotata di piccoli armadietti personali dotati di chiave, carrelli per l'archiviazione di documenti ecc. Tutte le attrezzature sono su ruote, così che possono essere trasportate verso i posti di lavoro assegnati.

Heads Down
È una zona dedicata al lavoro individuale ("a testa china") ed è contraddistinta dal basso livello di rumore, che facilita la concentrazione. È assimilabile alla sala lettura di una biblioteca.

Team Room
È l'area conferenza, attrezzata con tavoli per riunione, strumenti per proiezione, videoconferenza e video telefoni.
Nelle aspettative della MCI i Rally Center, grazie al miglioramento comunicativo tra il personale impegnato sul campo, dovrebbero portare ad un aumento della produttività di circa il 30%.


Telstra

Telstra è il maggiore operatore di telecomunicazioni dell'Australia. Ha in corso tre diverse esperienze di telelavoro: da casa per una vasta gamma di professionalità, mobile per i tecnici di assistenza che possono accedere al database dell'ufficio tramite computer portatili, "ufficio virtuale" per gli Account Executive.

L'esperienza più antica e importante è la prima. Nel maggio del 1992 Telstra lanciò un esperimento di telelavoro per 31 impiegati, che avrebbero lavorato da casa per due/tre giorni la settimana. La "mortalità" iniziale del gruppo fu molto alta: a settembre dello stesso anno erano rimasti nell'esperimento soltanto 22 persone. La compagnia, che aveva accuratamente selezionato i partecipanti all'iniziativa, ne concluse che i problemi derivanti dalla necessità di riconfigurare la vita familiare e amicale costituivano, anche sul breve periodo, un ostacolo reale e consistente al telelavoro da casa. Il costo medio delle attrezzature per addetto è stato di circa 450 dollari, dovuti principalmente all'installazione di una seconda linea connessa al centralino aziendale e, in alcuni casi, all'acquisto di un fax o un modem. La maggior parte dei telelavoratori disponeva già di un personal computer, che ha messo a disposizione dell'azienda a fronte di un piccolo rimborso forfettario. L'esperimento ha coinvolto anche l'organizzazione sindacale del settore (la Communication Electrical & Plumbing Union) ed ha dato luogo ad un contratto standard di telelavoro (il Teleworking Agreement and Implementation Procedures). Il contratto è stato poi certificato, nel maggio del 1994, dall'Australian Industrial Relation Committe (un organismo trilaterale che ha la responsabilità di approvare i contratti nazionali e quelli particolarmente innovativi). L'accordo copre i seguenti aspetti:
- definizione delle tipologie di lavoro appropriate (quelle che «implicano un alto livello di autonomia e indipendenza personale, come ad esempio quelle che coinvolgono progettazione, ricerca, analisi di mercato, compilazione di rapporti») e non appropriate («i lavori che comportano una intensa interazione face-to-face con i superiori o con il proprio gruppo di lavoro»);
- condizioni del rapporto di lavoro, che rimangono sostanzialmente invariate, con l'eccezione delle indennità di trasporto per gli spostamenti di servizio, che vengono calcolate prendendo come base il «posto di lavoro - ufficio o casa - ove il dipendente spende la maggior parte del tempo»;
- organizzazione del lavoro. L'accordo prevede che il dipendente possa lavorare dalla propria abitazione per non più di 15 giorni ogni venti e che debba essere comunque garantita la presenza in ufficio per riunioni, incontri o corsi di aggiornamento;
- rapporto con i figli in tenera età. In merito l'accordo afferma che «il telelavoro non è un mezzo per prendersi cura dei figli o familiari». Pertanto il lavoratore «deve assicurare che le persone che da lui dipendono possano disporre, mentre egli lavora, della necessaria assistenza fornita da terzi»;
- valutazione dei risultati. Valgono gli stessi meccanismi adottati per gli altri dipendenti, mentre è specificato che eventuali sistemi automatici di misurazione dei risultati (anche se applicati per tutti) non verranno utilizzati come mezzo esclusivo per l'assessment individuale dei telelavoratori;
- ambiente di lavoro e sicurezza del lavoratore. Il contratto fa esplicito riferimento alle normative in vigore in Australia. Il rispetto degli standard di sicurezza viene certificato dal delegato alla sicurezza ambientale dell'azienda; il risultato delle ispezioni svolte a casa del dipendente verrà comunicato al sindacato;
- cura e manutenzione degli apparati installati nella casa del lavoratore: quelli di proprietà della compagnia dovranno essere utilizzati senza modificare in alcun modo la configurazione originale fornita;
- sicurezza delle informazioni aziendali, per le quali si applica la stessa normativa esistente per i lavoratori in ufficio;
- modalità di comunicazione con i superiori e i sindacalisti. Normalmente i rapporti con i manager si svolgono in ufficio. Ma l'accordo prevede per i superiori il diritto di recarsi nell'appartamento dal quale si svolge l'attività per discutere argomenti di lavoro. In questo caso il manager deve dare un preavviso di almeno un giorno e il dipendente ha facoltà di chiedere la presenza a tali colloqui di una terza persona di sua fiducia. La stessa regola si applica alle visite dei sindacalisti, che possono però essere rifiutate.

L'accordo è sinora stato applicato in poco più di 100 casi, nonostante che i telelavoratori alla Telstra siano varie migliaia. La gran parte di loro, evidentemente, ha preferito continuare a lavorare da casa informalmente, a fronte di accordi individuali con il superiore diretto. Anche il sindacato pare aver preso atto del sostanziale fallimento del tentativo di regolazione: al momento della sua scadenza naturale, nel 1995, nessuna delle parti ha fatto valere il diritto di rinegoziazione.

Grazie a questa esperienza la Telstra ha sviluppato una strategia per supportare il telelavoro in altre aziende (i primi esperimenti pilota sono stati con la DEC e la Nortel) e commercializza una serie di package standard per assistere i telelavoratori: lavoro da casa part time, ufficio mobile, casa-ufficio per dirigenti, agenzia di servizi casalinga. Secondo dichiarazioni della stessa azienda, i vari programmi in corso con i grandi clienti hanno tre scopi principali: a) dimostrare ai clienti i benefici che derivano dal telelavoro; b) stimolare la domanda di applicazioni e servizi per il telelavoro; c) sviluppare materiali di studio che tengano conto delle specificità dell'Australia.


Pacific Bell

La Pacific Bell, a differenza di altre compagnie di esercizio telefonico, ha dato pochissimo risalto agli esperimenti di telelavoro interno, in quanto considerati una normale prassi di flessibilità della prestazione lavorativa. Nella compagnia, sin dagli anni Settanta, erano molti i dipendenti, specialmente se di livello medio alto, che lavoravano saltuariamente da casa, per alcuni giorni alla settimana o per alcune ore al giorno. Frequente era anche il caso di funzionari che, per far fronte a lavori di particolare urgenza, preparavano a casa, dopo l'orario lavorativo, documenti e relazioni. Il collegamento con l'ufficio era dei più vari: accesso alla posta elettronica interna, invio di fax, comunicazioni telefoniche ecc. Si trattava di forme di telelavoro implicito, iniziative non coordinate a livello centrale, che nascevano da accordi informali tra lavoratore e superiore. L'impulso decisivo allo sviluppo del telelavoro, nel caso della Pacific Bell (e di altre aziende americane), è venuto dall'approvazione, nel 1990, di una legge federale sulla protezione ambientale (Clean Air Act) e la sua implementazione da parte dell'agenzia governativa locale South Coast Air Quality Management District. L'agenzia, con una sua direttiva autonoma, ha obbligato le aziende con oltre 100 addetti a raggiungere un rapporto lavoratori presenti/automobili spostate pari a 1,5 (1). Scopo di tutta la produzione normativa, come noto, era di spingere aziende e pubbliche amministrazioni ad adottare il telelavoro come strumento di riduzione del traffico e dell'inquinamento da esso derivante. La Pacific Bell si è trovata così a far fronte a una grande richiesta di servizi, apparecchiature e consulenze per trasformare posti di lavoro stanziali in attività di telelavoro. La compagnia, nel 1994, ha aderito ad un consorzio misto pubblico privato (il Southern California Emergency Telecommuting Partnership) che promuove il telelavoro come strumento utilizzabile in caso di disastri ambientali. Nel 1995 ha messo a punto un sito Internet per diffondere la sua "guida al telelavoro", un documento di formidabile importanza, sviluppato a partire dalle esperienze svolte (2).

La storia della Pacific Bell è comune ad altre compagnie telefoniche americane, che hanno beneficiato (e sono state costrette a prendere in considerazione il telelavoro) delle politiche messe in atto dalle amministrazioni pubbliche. Ma sarebbe erroneo attribuire soltanto all'intervento legislativo la nascita di una robusta cultura del telelavoro. Un ruolo fondamentale lo ha giocato la ricerca, da parte delle aziende telefoniche, di nuovi paradigmi organizzativi per ridurre i costi e aumentare la flessibilità del lavoro in un mercato fortemente deregolamentato. La riduzione dei costi delle tecnologie ha portato benefici a tutte le aziende; è iniziata così la ricerca di nuovi modelli produttivi intesi a contenere le spese per il personale. Esemplare è il caso dei servizi di prenotazione delle grandi catene alberghiere come la Best Western, che usano oggi, in larghissima misura, detenute rinchiuse in carceri statali appositamente attrezzati. Secondo Joan Pratt, che ha studiato questo particolare aspetto del telelavoro, le aziende che usano le detenute ottengono molti vantaggi: basso turn-over, paghe ridotte, alti livelli di soddisfazione da parte di così anomali dipendenti (3).


I casi eccellenti

In questo paragrafo descriveremo altri tre casi, quelli della BT, della Bell Canada e della Telia svedese, che si pongono tra gli esempi meglio riusciti di "ingresso con forze proprie" delle Telecom nazionali nel telelavoro. La particolarità di queste aziende è di non avere beneficiato di contributi dall'esterno (come, ad esempio, legislazioni di incentivazione del telelavoro), di essere entrate nell'arena del telelavoro a partire da sperimentazioni interne, di aver sviluppato, nel corso delle esperienze, una ampia documentazione non solo tecnica.

Il telelavoro in BT

L'esperimento di Inverness
Il primo esperimento di telelavoro, della durata di un anno, iniziò nel giugno 1992. Interessava 11 operatrici del servizio Directory Assistance di Inverness, nella Scozia settentrionale (4). L'esperimento fu condotto per preminenti motivi di studio e, per questo, progettato e realizzato dai BT Research Laboratories di Martlesham Heat, vicino ad Ipswitch. Direttore del progetto era Mike Gray, un ingegnere elettronico che, in servizio sin dal 1972 presso il laboratorio, nel 1988 aveva assunto la direzione del Teleworking Application Group, un team multidisciplinare incaricato di studiare i problemi - tecnici, ambientali, ergonomici, sociali e psicologici del telelavoro. Gli scopi dell'esperimento erano molteplici:
- dimostrare che gli operatori dei centri di assistenza telefonica possono lavorare da casa;
- esplorare in che misura le normali attrezzature d'ufficio possono essere trasferite a casa senza doverle modificare profondamente;
- capire come i problemi del telelavoro, tecnici e non, possono essere risolti;
- investigare come le tecnologie possono fornire un supporto per lavoratori e supervisori;
- provare in che misura i benefici attesi dal telelavoro sono realmente tali per le parti coinvolte;
- valutare quali requisiti sono indispensabili per applicare su larga scala il telelavoro nei centri di assistenza telefonica.

L'esperienza era stata preceduta da una serie di studi approfonditi sul telelavoro. In particolare nel 1990 i Laboratori avevano prodotto un rapporto preleminare di studio, in cui venivano evidenziate le coordinate generali entro cui si sarebbero dovute muovere le future applicazioni di telelavoro (BT, 1990). L'anno successivo era stato pubblicato un rapporto sul telelavoro per i portatori di handicap (BT, 1991a), un secondo sulle influenze del telelavoro sulla vita familiare (BT, 1991b) ed era stata sviluppata una prima guida per i manager che avevano alle dipendenze i lavoratori a distanza (5). Non mancavano poi approfonditi studi sull'ambiente lavorativo casalingo. Risultava evidente che, prima di iniziare l'esperimento, andavano definite le caratteristiche ergonomiche dei posti di lavoro, con particolare riguardo all'impatto estetico-funzionale sull'ambiente domestico (BT, 1992). Questo portò alla progettazione di un posto di lavoro integrato, che poteva essere chiuso quando non utilizzato.

All'inizio della sperimentazione fu messo a punto il sistema base da installare negli appartamenti. Esso si sarebbe composto di un computer collegato al database centrale, una console per rispondere alle chiamate degli utenti e una linea ISDN per i collegamenti. Gli studi di fattibilità e la necessità di sperimentare soluzioni innovative ed avanzate consigliarono però l'inserimento di altre apparecchiature e soluzioni tecniche intese a favorire la comunicazione lavoratore-colleghi-manager. Si arrivò in tal modo alla struttura definitiva della postazione remota composta, oltre che degli elementi base, di un videotelefono (integrato nel computer) per contattare il supervisore e interagire con i colleghi nei momenti di pausa (6) e di una serie di altri strumenti, pensati per ridurre al minimo i rischi di isolamento:
- posta elettronica per la comunicazione diretta con il centro;
- un notiziario elettronico (BBS) per le comunicazioni circolari;
- un sistema di posta preferenziale (Newsflash) per comunicazioni urgenti;
- sistema SOS per informare il capo di un'eventuale emergenza domestica;
- il Comfort Break per richiedere una pausa durante il turno.

I risultati ottenuti con l'esperimento furono in linea con le aspettative (7) e fornirono anche una serie di informazioni aggiuntive di particolare utilità:
- emerse l'importanza dei mezzi audiovisivi (videotelefono) come strumenti che facilitano realmente la comunicazione e l'interazione. Ma con alcune particolarità: mentre dai telelavoratori era particolarmente apprezzata la possibilità di parlare e vedere il proprio capo (8), fu assai meno utilizzata la possibilità di interagire con le colleghe. Secondo i ricercatori questo andava attribuito a più fattori: la difficoltà per la telelavoratrice di sapere chi fosse presente nella caffetteria, la scarsa abitudine ad usare il videotelefono, la mancanza di privacy nel corso della conversazione;
- dopo le fasi iniziali dell'esperimento si notò un calo del supporto che il capo dava alle telelavoratrici. Ciò portò la BT a concentrarsi maggiormente sul problema della gestione manageriale dei lavoratori a distanza. Le stesse lavoratrici, intervistate alla fine dell'esperimento, suggerirono che l'attività di coordinamento sarebbe stata più efficace qualora i supervisori avessero avuto esperienze di telelavoro o almeno una preparazione specifica per la gestione di lavoratori distanti;
- il senso di isolamento, fenomeno temuto dai progettisti dell'esperimento, non aveva, in realtà, costituito un problema. La maggior parte dei telelavoratori durante le pause preferiva "fare le proprie cose" in casa anziché tentare di socializzare sulla rete, come inizialmente ipotizzato. Questo risultato fu attribuito all'ampia gamma di strumenti di comunicazione che erano stati forniti e al fatto di avere selezionato persone che avevano, sin dall'inizio, pochi rischi di solitudine;
- le statistiche raccolte durante l'anno mostrarono che lavorare da casa non variava la produttività oraria dei lavoratori e neppure influiva sui tassi di assenza per malattia. Si trattava di un risultato che contraddiceva molta pubblicistica precedente, prodotta però prendendo in esame lavori di tipo diverso: programmatori, analisti, tecnici ecc. Ma rimaneva la netta sensazione, sia da parte dei telelavoratori che dei supervisori, che in molti casi il lavoro da casa aveva evitato assenze che altrimenti si sarebbero fatte (9).

Sull'esperimento di Inverness anche il sindacato UCW (Union of Communication Workers - ora confluito nella Communication Workers Union) ha prodotto un suo rapporto, assai più scettico di quello generato dall'azienda. Secondo l'organizzazione sindacale, che aveva stipulato con BT un accordo ad hoc per la conduzione dell'esperienza, «non c'è dubbio che il dibattito sui meriti e demeriti del telelavoro continuerà. Sinora abbiamo soltanto una sicurezza: è di vitale importanza che il sindacato venga coinvolto e sia messo nella situazione di giocare un ruolo significativo, non soltanto per difendere al meglio i propri iscritti presenti, ma anche nell'interesse dei lavoratori che recluterà in futuro» (10).

Il caso di Southampton

Nonostante l'esperienza acquisita con il primo esperimento BT non ha introdotto in maniera significativa la pratica del telelavoro tra gli addetti ai servizi di assistenza telefonica. Solo a due anni dell'esperimento di Inverness, il 15 Gennaio 1995, un centro di televendita (servizio "152") della divisione Volume Business Sales di Southampton ha iniziato un progetto pilota (11) di telelavoro a casa per 12 delle 25 operatrici. L'adesione al programma era volontaria e subordinata ai risultati di una selezione svolta dalla responsabile del centro, Margaret Birkett, secondo tre criteri guida:
a) l'appartamento doveva essere idoneo per quanto atteneva la sicurezza dell'impianto, ma anche libero dai rumori tipici degli appartamenti (bambini piccoli, animali ecc.);
b) l'appartamento doveva trovarsi in una zona ove fosse disponibile un collegamento ISDN;
c) i candidati dovevano aver un buon curriculum individuale (buon rendimento, basso tasso di assenteismo, senso di autodisciplina ecc.).

Ai candidati, che inizialmente lavoravano full time (37 ore settimanali), fu offerto di poter aderire al telelavoro se accettavano un part time a 25 ore settimanali, poi elevate a 30 quando risultarono evidenti le difficoltà di reclutamento. Ai telelavoratori vennero assegnati turni flessibili che potevano venir gestiti dagli stessi interessati, ma anche l'obbligo di coprire le ore critiche e lavorare al sabato. Per i telelavoratori vennero anche fissati, rispetto ai colleghi che continuano a lavorare dal centro, obiettivi di vendita più elevati. L'esperimento è tuttora in corso e fonti sindacali, inizialmente molto scettiche sulla possibilità di riuscita del progetto, hanno recentemente ammesso che, nonostante le limitazioni imposte ai lavoratori, il tentativo sembra incontrare i favori sia dei lavoratori che di BT (Bibby, 1996).

Il Telelavoro degli Executives
Nonostante che l'esperimento di Inverness sia il più citato in letteratura (12), BT ha attuato, nel 1992, una forma di telelavoro assai innovativa, almeno se si considera il panorama delle grandi aziende di telecomunicazioni europee. Nel settembre di quell'anno, infatti, la compagnia e il sindacato dei quadri e dirigenti della Telecom (la STE -Society of Telecom Executives) siglarono un accordo che permetteva ai funzionari di livello medio alto di lavorare da casa. All'accordo fu dato inizialmente un enorme risalto sia da parte aziendale che sindacale. Anche in questo caso BT aveva, tra gli scopi principali, la sperimentazione di problemi e vantaggi del telelavoro per questa particolare fascia di utenti, finalizzata a una futura offerta di mercato. Il testo dell'accordo specificava che tutti i manager di BT potevano, su base volontaria, presentare domanda per lavorare da casa, anche se non vi era nessuna garanzia circa l'accettazione automatica dell'istanza. La richiesta sarebbe stata vagliata dal diretto superiore, che avrebbe condotto un'intervista con il candidato e avrebbe poi presentato una relazione al suo superiore, cui spettava la decisione finale. Gli aspetti presi in considerazione per il processo decisionale erano i seguenti:
- caratteristiche personali. Il candidato deve essere fortemente motivato verso l'azienda e nella sua intenzione di telelavorare, dotato di senso dell'autodisciplina e in condizione di lavorare con una supervisione minima e in assenza di contatti sociali. A questo andava aggiunta una ottima capacità organizzativa e l'attitudine ad evitare rischi sul lavoro (13).
- Caratteristiche della mansione svolta. Il candidato doveva avere un buon grado di autonomia nel lavoro ed essere capace di mantenere, anche a distanza, il controllo dirigenziale e i necessari contatti umani con i dipendenti.
- Condizione domestica. L'abitazione deve essere idonea a lavorare (esistenza di parti isolate o isolabili) e per la conservazione sicura (fuori della portata di bambini ed animali) dei documenti ed apparecchiature necessarie. In caso di presenza in casa di bambini o anziani bisognosi di assistenza, questa andava garantita da persone diverse dal telelavoratore.

Una volta approvato il telelavoro, le condizioni specifiche sarebbero state fissate in dettaglio con un accordo individuale, che doveva però contenere almeno le seguenti condizioni concordate tra azienda e sindacato:
- l'orario lavorativo sarebbe rimasto invariato, a meno che l'interessato non avesse fatto anche domanda per passare ad un regime di part time;
- invariata anche retribuzione, indennità di buonuscita e pensione;
- le indennità di missione andavano calcolate considerando l'appartamento come luogo di lavoro;
- la maggiorazione prevista per i lavoratori basati nell'area londinese sarebbe rimasta in vigore soltanto per coloro che vi abitavano;
- le spese aggiuntive per riscaldamento e consumo di energia elettrica sarebbero state rimborsate dall'azienda;
- le apparecchiature sarebbero state fornite, installate e manutenute a cura di BT, che avrebbe anche garantito la necessaria formazione;
- BT avrebbe assistito il dipendente negli adempimenti burocratici legati all'uso in casa di apparati da ufficio. In particolare l'azienda si impegnava a garantire che l'assicurazione sull'immobile non sarebbe stato soggetta a carichi aggiuntivi in virtù dell'uso promiscuo dell'appartamento;
- nulla sarebbe cambiato sotto il profilo della corresponsabilità per la sicurezza del lavoro, come prescritto dal Healt & Safety At Work Act del 1974. Ciò implicava, però, la libertà di accesso all'appartamento per controllare gli apparati;
- ogni incidente andava comunicato in ufficio al più presto, e avrebbe dato luogo alla stessa copertura assicurativa del personale in ufficio;
- la speciale copertura assicurativa dei dirigenti sarebbe rimasta valida anche per chi lavora da casa;
- rimaneva l'obbligo di recarsi in ufficio per partecipare a riunioni ed attività che non potevano essere svolte dal domicilio, mentre tutte le informazioni normalmente distribuite in azienda sarebbero state dirottate verso la residenza del telelavoratore;
- nulla si modificava per quanto riguardava le possibilità di carriera, lo sviluppo umano e la formazione individuale.

Come si vede la filosofia dell'accordo prefigurava una condizione di "allontanamento quasi definitivo" dall'ambiente dell'ufficio. Quel che è avvenuto è invece assai diverso. Anche se non è ufficialmente stata resa nota la consistenza del fenomeno, osservatori esterni affermano che la maggior parte dei manager che hanno chiesto di telelavorare continua a recarsi con discreta regolarità in ufficio, svolgendo da casa i compiti - come leggere o scrivere documenti impegnativi - che meglio si svolgono in un ambiente tutto sommato più tranquillo, o quando le condizioni familiari lo richiedono.

La possibilità di telelavorare, insomma, è stato colta dalla maggior parte dei dirigenti come una possibilità di flessibilizzazione e ottimizzazione del tempo.

Gli sviluppi successivi

A partire dalle esperienze analizzate, che come abbiamo visto hanno dato luogo ad una importante attività di produzione culturale sul telelavoro (14) la British Telecom ha elaborato una serie di raccomandazioni tecniche ma anche socio psicologiche sul telelavoro nonché progettato varie attrezzature (mini sistema di videoconferenze su PC, uso degli strumenti multimediali, posti di lavoro dedicati ad ambienti domestici ecc.). I risultati degli studi, diffusi a tutte le Divisioni, hanno dato luogo alla commercializzazione di prodotti e servizi specifici per il telelavoro, gestiti da un ufficio dedicato (Telework Marketing) appartenente alla Divisione Marketing.

Il telelavoro in Bell Canada

Telelavoro implicito

Il telelavoro interno in Bell Canada, similmente a quanto avvenuto in altre Telecom nordamericane, è iniziato in maniera sommessa: alcuni manager locali permettevano, sin dall'inizio degli anni Settanta, ad alcuni dipendenti di connettersi alla rete aziendale da casa, principalmente per svolgere lavori urgenti extra orario o per non perdere giornate di attività quando le avverse condizioni atmosferiche impedivano gli spostamenti da casa all'ufficio. Nacque così un primo programma di telelavoro, detto Alternative Work Arrangment, che neanche citava espressamente la parola telework o telecommuting. Il programma era unilaterale - senza coinvolgimento formale né dell'azienda né del sindacato - e veniva concordato, per lo più verbalmente, tra il lavoratore e il supervisore. Per la gestione del progetto venne creato un gruppo di studio detto Home Resource Group. Questo processo di telelavoro implicito si è andato espandendo con il passare del tempo e con lo sviluppo delle tecnologie informatiche e telematiche, che hanno fatto aumentare, per i dipendenti, la possibilità di svolgere lavori anche complessi da casa, e per l'azienda la capacità di aprire, a costi bassi e con ragionevoli livelli di sicurezza, il network aziendale alle connessioni esterne.

Secondo una rilevazione svolta recentemente, quasi il 70% degli addetti della Bell Canada è autorizzato a collegarsi da casa - e spesso lo fa la sera oltre l'orario d'ufficio - utilizzando strumentazione di sua proprietà. L'utilizzo principale che si fa di questa possibilità è legato alla preparazione di rapporti e alla lettura e spedizione di posta elettronica, anche se in molti casi vengono utilizzati software specializzati che risiedono sui computer remoti. I collegamenti avvengono con normali modem e utilizzando le linee telefoniche urbane. I problemi di sicurezza vengono risolti sia tramite password sia, soprattutto, grazie ad un sistema di firma ottenuta inserendo una speciale ID card in un lettore magnetico collegato al PC casalingo (i lettori vengono forniti gratuitamente dalla Bell). Chi sfrutta questa possibilità gode di una riduzione dei costi telefonici.

Telelavoro esplicito

Nel marzo del 1995 la Bell Canada ufficializza il telelavoro interno. Il nome di questo ulteriore programma è Teleworking Option e per la sua gestione viene costituito un comitato interaziendale detto Telework Action Committe (TAC) con lo scopo sia di regolare (contrattualmente) la situazione, sia di trasformare in offerta commerciale l'esperienza acquisita. All'inizio del 1996 viene predisposta una guida pratica al telelavoro composta di un documento di base e sei appendici, ognuna delle quali dedicata a un aspetto operativo del telelavoro (15). Della pubblicazione fa parte anche un contratto standard per i telelavoratori (che possono operare in regime di part time o di full time), concordato con il sindacato. La pubblicazione, organizzata in forma di questionario, permette di valutare con estrema semplicità i vari aspetti che raccomandano o scoraggiano l'adozione di telelavoro nelle diverse realtà produttive. Di notevole interesse sono:
- l'appendice 2, dedicata ai manager che debbono selezionare i candidati al telelavoro. Essa consiglia di attribuire un punteggio a dodici qualità del candidato (esperienza, professionalità, capacità di gestione del tempo, senso organizzativo, autonomia, spirito d'iniziativa, motivazione, determinazione, accettazione della cultura aziendale, autodisciplina, valutazioni ottenute in precedenza, caratteristiche del lavoro svolto) che divengono la base per il calcolo della attitudine individuale al telelavoro;
- l'appendice 3, anch'essa dedicata ai manager, che presenta una serie di formule di facile applicazione per quantificare in anticipo costi e benefici attesi dal telelavoro;
- l'appendice 6, un questionario per i candidati al telelavoro, intesa ad analizzare l'attitudine personale, quella professionale e quella ambientale.

Seguendo la pubblicazione, quindi, i manager locali (cui è demandata anche la firma del contratto di telelavoro per i propri dipendenti) attueranno una procedura logica molto simile a quella evidenziata sotto forma di flow-chart nella figura 1.

L'accordo sul telelavoro

Una citazione merita anche l'accordo di telelavoro messo a punto tra la Bell e il sindacato CTEA (16). Il contratto, che deve essere stipulato in forma scritta ed individuale, è volontario e reversibile. Candidato e supervisore debbono, anzitutto, concordare sullo schema di telelavoro applicabile, che nasce da una combinazione di tre fattori base:
a) definizione della località ove si svolge la prestazione, che può essere resa da casa del lavoratore, da un'automobile, da un ufficio satellite o da un ufficio condiviso con altri telelavoratori;
b) agenda del telelavoro, con la quale viene fissata la quota settimanale di lavoro svolto da casa (17) e il tipo di prestazione oraria (fissa o flessibile, con presenza o meno di straordinari retribuiti);
c) mezzi impiegati, che possono o meno essere di proprietà della Bell, a scelta del lavoratore.

L'attitudine al passaggio al telelavoro (idoneità dell'appartamento, problemi di sicurezza, condizione familiare, motivazione, impatto organizzativo sull'ufficio ecc.) viene valutata dalla dirigenza in base a parametri prestabiliti e, quindi, noti anche ai lavoratori. L'autorizzazione preliminare deve essere data da una apposita commissione locale in cui sono presenti i sindacati. Ai telelavoratori espliciti la Bell fornisce le apparecchiature (se richieste), la necessaria assistenza tecnica e una quota fissa per le spese (energia, bolletta telefonica, riscaldamento ecc.).

Il lavoratori coinvolti nel programma "ufficiale" di telelavoro sono circa 2.500 (18), con professionalità di vario tipo, anche se con una prevalenza di programmatori, ricercatori e analisti. Sono invece pochissimi, a causa degli alti investimenti necessari, gli addetti ai servizi di assistenza telefonica alla clientela.

L'offerta commerciale

La Bell è la compagnia che, nel corso della ricerca, ha fornito la maggior quantità di documentazione commerciale. È anche una delle poche Telecom che, in un Web Internet istituzionale, offre una panoramica completa delle proprie soluzioni per il telelavoro (19), differenziate in otto tipologie di applicazioni:

a) soluzioni per i singoli:
- after hours, per telelavoratori occasionali;
- telelavoro part time o full time su base continuativa;
- telelavoro con richieste avanzate di collegamento a Lan aziendali;
- home agent, per addetti alle televendite o teleservizi;
- telelavoro mobile;

b) soluzioni per le aziende:
- telelavoratori singoli;
- telelavoratori con nodi di accesso remoti multipli;
- accesso remoto su larga scala;

All'offerta hardware e software la Bell affianca anche una serie di proposte di tipo consulenziale per l'implementazione del telelavoro in azienda che comprende:
- progettazione e direzione di sperimentazioni di telelavoro;
- sviluppo di studi di casi aziendali;
- studio dei bisogni potenziali dei telelavoratori;
- consulenza per le soluzioni di comunicazione e riorganizzazione aziendale;
- prova e validazione di hardware e software per il telelavoro;
- assicurazione di qualità preventiva sulle apparecchiature per il telelavoro;
- trasferimento delle apparecchiature tra uffici a distanza;
- corsi di formazione per lavoratori e dirigenti;
- servizio di help desk sul telelavoro.

La ricchezza della documentazione è ispirata non soltanto "dall'aggressività" della Bell sul mercato, ma anche dal tentativo di diffondere - da parte di un'azienda che ne ha tratto giovamento - il telelavoro come una soluzione organizzativa praticabile e conveniente.

Il caso della TELIA

Le condizioni a contorno

La Svezia, per molti punti di vista, è un paese ideale per il telelavoro. Ha una densità di popolazione molto bassa, solo 19 persone per Kmq (la media europea è 145); lo spazio abitativo è assai vasto, pari a circa 47 mq per individuo; ha un sistema di telecomunicazioni tra i più avanzati del mondo e uno dei mercati più derogati in Europa, in cui si fronteggiano la Telia (l'ex gestore monopolistico Televerket) e la Tele 2, ma anche compagnie straniere come BT, AT&T, France Telecom nonché operatori asiatici quali la Singapore Telecom; è un paese vasto e freddo, ove gli spostamenti, almeno in alcuni periodi dell'anno, diventano problematici. Inoltre il costo della vita a Stoccolma è tanto elevato da scoraggiare, in alcuni casi, persino l'accettazione di promozioni che implicano una migrazione interna. Questo basterebbe a spiegare perché, nel 1995, circa un milione di lavoratori (il 29% del totale, in maggioranza maschi tra i 35 e i 45 anni con titolo universitario) lavorava, per lo più (23%) occasionalmente, da casa. (figura 2). Dietro la diffusione del telelavoro vi è anche il supporto che viene dal sindacato. La TCO, la più grande organizzazione sindacale degli impiegati (ad essa sono iscritti circa il 90% dei colletti bianchi svedesi) nel congresso del 1982 aveva preso una posizione di deciso antagonismo; nelle risoluzioni congressuali era detto esplicitamente che il sindacato «doveva opporsi con grande vigore ai lavori assistiti dai computer che vengono svolti a casa».

Nel congresso del 1985 la TCO (e in particolare il sindacato dei bancari) decise la costituzione di una commissione di studio sul lavoro a distanza. A dirigerla fu un funzionario sindacale, Svensson, noto per essere già un telelavoratore. Il rapporto che ne derivò, dal titolo At Just the Right Distance, presentato nel 1987, rappresentava una discreta conversione in favore del telelavoro, di cui si riconoscevano le possibilità di flessibilizzazione e miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori coinvolti. Il rapporto si esprimeva però scetticamente sulla futura espansione di questo modo di lavorare. Infatti, vi si affermava che:
- i datori di lavoro non avrebbero potuto controllare i lavoratori in maniera soddisfacente;
- il telelavoro è un impedimento all'identificazione con l'azienda;
- è difficile controllare la riservatezza delle informazioni;
- i costi delle nuove tecnologie rimarranno elevati per lungo tempo;
- la richiesta sindacale di telelavorare solo part time e conservare quindi un proprio spazio lavorativo in azienda costituirà un ostacolo economico per i datori di lavoro;
- le modifiche culturali necessarie non saranno facili da ottenere.

Nonostante i dubbi, la TCO con quel documento gettò le basi per l'apertura di un processo negoziale, basato su alcuni punti fermi nella contrattazione del telelavoro (20). Le richieste fondamentali che il sindacato faceva alle organizzazioni imprenditoriali, in breve, erano le seguenti:
- il telelavoro doveva essere volontario, parziale e accettato dai sindacati locali;
- la parte della mansione svolta a casa doveva essere controllabile dal lavoratore;
- il telelavoratore doveva mantenere gli stessi diritti di chi operava in ufficio;
- il datore di lavoro doveva farsi carico di tutte le spese aggiuntive e delle necessarie autorizzazioni;
- l'idoneità del posto di lavoro doveva essere controllata e certificata dai responsabili sindacali alla sicurezza.

L'atteggiamento possibilista del sindacato non sembra aver poi dato luogo anche a una diffusa pratica contrattuale. In un recente studio Niklas Bruun afferma: «I telelavoratori non sono considerati un gruppo specifico dal diritto del lavoro. Anche i contratti collettivi di telelavoro sono sinora molto rari. La maggior parte dei telelavoratori ha accordi informali con i propri imprenditori che gli permettono di lavorare da casa (o da qualsiasi altro posto). Solo alcuni hanno veri e propri contratti individuali scritti, in cui le condizioni di impiego sono specificate in maggior dettaglio» (Bruun & Johnson, 1995). Insomma, anche nel caso svedese il telelavoro è più una prassi informale - uno strumento di flessibilità da contrattare individualmente - che non il risultato di un meccanismo negoziale formale e collettivo.

L'esperienza della Telia

Telia è un grande operatore di telecomunicazioni che dispone di un'ampia offerta di soluzioni tecniche applicabili al telelavoro. È anche una delle poche compagnie nazionali che ha sviluppato la capacità di progettare e realizzare veri e propri telecentri attrezzati. La circolazione delle informazioni sul telelavoro, operazione considerata strategica per la sua diffusione, è affidata ad una Divisione esternalizzata, detta Teldok, che produce rapporti periodici sulle applicazioni delle nuove tecnologie della comunicazione, organizza seminari e conferenze, conduce ricerche e sperimentazioni.

Il telelavoro ha una vasta diffusione in azienda, ma non è altrettanto documentato: nasce, come del resto nell'intero paese, più da una pratica informale che da una prassi contrattuale. In questo contesto è pertanto di rilievo una esperienza formale che la Telia Research AB ha condotto di recente con la Stockholm School of Economics (Rognes et ali, 1996).

L'esperimento, della durata di un anno, si proponeva di studiare un gruppo di undici telelavoratori della Telia (per lo più ingegneri di software o specializzati in telecomunicazioni) più un gruppo di controllo (altri undici individui) coinvolto a vario titolo nelle problematiche del telelavoro: colleghi, coniugi, personale addetto alla manutenzione dei computer, quadri intermedi da cui dipendono i telelavoratori, dirigenti e amministrativi.

I primi risultati dello studio hanno messo in luce l'esistenza di quattro paradossi.

IL PARADOSSO DELLA RIGIDITÀ-FLESSIBILITÀ

Nonostante che l'aumento della flessibilità, sia per l'azienda che per l'individuo, sia spesso citato come una delle ragioni principali che consigliano di ricorrere al telelavoro, i ricercatori hanno individuato con chiarezza l'esistenza di un fattore limitante. I soggetti coinvolti nell'esperimento erano, già prima del telelavoro, liberi di pianificare la propria giornata. Operavano in gruppi di lavoro e tutte le attività di coordinamento all'interno del team si svolgevano - in maniera perlopiù informale - durante la permanenza in ufficio, spesso con una interazione uno a uno. Raramente, insomma, si poneva la necessità di organizzare riunioni. Nel momento in cui alcuni vengono decentrati, in ufficio viene a mancare la risorsa del coordinamento informale. Nasce la necessità di uno scambio codificato di notizie, che costringe tutto il gruppo a rivedere la propria organizzazione per dar spazio a frequenti meeting. Questo diviene un elemento di maggiore rigidità sia per il telelavoratore - che è costretto a recarsi in ufficio in momenti stabiliti - sia per i suoi colleghi, che debbono "incernierare" nel lavoro cicli di riunioni a orari rigidi.

IL PARADOSSO DEL TEMPO LIBERO

All'inizio il tempo guadagnato con la riduzione degli spostamenti viene dedicato principalmente al lavoro. Le interviste svolte a sei mesi di distanza, invece, rilevano consistenti modifiche nell'organizzazione della vita familiare: è aumentato il tempo dedicato ai figli e alcuni telelavoratori hanno imparato a cucinare. I periodi di super lavoro sembrano più legati all'andamento del progetto in cui si è coinvolti che non ad una attitudine all'iperattività indotta dal telelavoro.

IL PARADOSSO DELLA CREATIVITÀ

I ricercatori distinguono la creatività - indispensabile nei lavori studiati - in due classi: analitica e creatrice di nuove idee. Lavorare da casa aumenta la creatività analitica, in quanto l'ambiente di lavoro esente da disturbi (21) permette una maggiore concentrazione e quindi una migliore attività di problem solving. Diminuisce invece la capacità di creare nuovi concetti, in quanto la lontananza dai colleghi riduce gli stimoli creativi e le occasioni di confronto delle proprie idee con quelle degli altri.

IL PARADOSSO DELL'ISOLAMENTO-COMUNICAZIONE

L'ufficio, a volte, è l'ambiente meno indicato per svolgere compiti che richiedono isolamento e tranquillità, come scrivere, studiare, pianificare attività. La stessa Telia, nel 1995, aveva svolto un'indagine di mercato sul telelavoro, dalla quale risultava che la ragione principale per telelavorare era la speranza di essere più efficienti (41% degli intervistati). La soluzione di particolari problemi familiari e la riduzione del tempo di spostamento assumeva un'importanza minore, in quanto veniva indicata rispettivamente dal 15 e dal 12% del campione. Nell'esperimento in corso emerge, accanto alla necessità di restare isolati, anche la richiesta quasi ossessiva di avere a disposizione il maggior numero di tecnologie che facilitino la comunicazione con gli altri. Tali tecnologie possono essere divise in due grandi famiglie: interattive, come il telefono e la videoconferenza, che ricreano l'ambiente real time che esiste in ufficio e quelle asincrone, come il fax, i sistemi di casella vocale e la posta elettronica, che permettono di essere raggiungibili senza essere accessibili. La conclusione dei ricercatori è che gli strumenti di comunicazione insistentemente richiesti e forniti dall'azienda vengono poi sottoutilizzati e, in ogni caso, sono assai più potenti di quanto necessario per il lavoro. Ma la loro disponibilità riduce il rischio psicologico di isolamento.

Passata la fase del telelavoro visto come una normale - sebbene tecnologicamente avanzata - prassi di flessibilità degli orari, sembra ora prefigurarsi una maggiore attenzione agli aspetti sociologici, psicologici ed organizzativi del telelavoro. I risultati che vengono dall'esperienza in corso, applicati dalla Compagnia al proprio interno e nell'offerta pubblica di apparati e servizi, potrebbe portare la Compagnia stessa ad assumere un ruolo fondamentale nello sviluppo di una moderna cultura del telelavoro in Svezia.

Cenni conclusivi

Generalità

In una società dominata dalla fornitura di servizi, la cosiddetta Società dell'Informazione, il telelavoro appare come una delle vie per decentrare le attività produttive nello spazio e nel tempo. È un processo che richiede alcuni requisiti: l'esistenza di un management in grado di giudicare i collaboratori secondo obiettivi e risultati - e non per le ore che passano in ufficio; lavoratori responsabili e motivati; sindacati pronti ad affrontare l'innovazione. Soltanto l'apertura culturale di tutti gli attori - anzitutto le aziende e i sindacati - rende possibile il superamento dei problemi organizzativi, regolatori e sociologici.

Dall'analisi sinora svolta emerge con forza che le Telecom che hanno sviluppato significative esperienze di telelavoro al proprio interno presentano una spiccata capacità nella diffusione all'esterno della cultura del telelavoro. E ciò viene prima, in ordine di importanza, della abilità, che pur esiste, nel "vendere il prodotto telelavoro" sul mercato.

In particolare tutti i casi eccellenti mostrano che i problemi da superare non sono stati soltanto di carattere tecnico, ma anche di gestione - inteso come accordo, motivazione e valutazione - delle risorse umane. Questo - associato al fatto che in tutte le esperienze migliori gli stessi manager sono stati coinvolti direttamente nel telelavoro - ha agevolato la presa di coscienza delle problematiche extratecnologiche del telelavoro. Ma di questo parleremo dopo. Di pari passo con il telelavoro interno si è sviluppata l'offerta di servizi finalizzati alla soluzione dei problemi organizzativi, sindacali, psicologici, formativi e attitudinali. Alcune aziende mettono l'accento sulla necessità di procedere ad una attenta valutazione sia delle persone da autorizzare a telelavorare, sia allo sviluppo di modelli individualizzati di telelavoro, veri e propri tentativi di creazione di indicatori microsociologici di telelavorabilità individuale. Altre aziende, invece, operando in ambienti potenzialmente favorevoli al telelavoro, tentano di approfondire il rapporto multidimensionale esistente tra fattori che incoraggiano e sconsigliano il lavoro a distanza.

L'organizzazione per il telelavoro

Accanto allo sviluppo di offerte commerciali congruenti con le esperienze svolte, tra i fattori di sviluppo del telelavoro nelle aziende considerate va menzionata la nascita, avvenuta sulla scia degli esperimenti interni e esterni, di una "catena di responsabilità" del telelavoro. Affidare in maniera univoca e centralizzata ad enti o comitati multidisciplinari in posizione di staff rispetto al top management la responsabilità interna, quella esterna, e quella di vendita e sperimentazione del telelavoro, ha avuto l'effetto di raccogliere conoscenze e esperienze. Questo accentramento è stato soltanto apparente: esso ha facilitato la diffusione del telelavoro nella cultura aziendale e ha facilitato le strutture divisionali nella messa a punto delle proprie strategie di vendita del telelavoro. In assenza di ciò il telelavoro sarebbe stato oggetto di offerte di mercato frammentate, forse redditizie nell'immediato, ma culturalmente poco incisive.

Vale la pena di insistere su questo aspetto. "Vendere telelavoro" è un'operazione di mercato delle Telecom, ma anche un processo culturale e cognitivo che trova una spirale virtuosa nella sua capacità di autorinforzarsi. Le esperienze riportate dalla letteratura scientifica (22) mettono in evidenza come, invariabilmente, lo sviluppo del telelavoro nelle società industrializzate proceda secondo alcune direttrici fondamentali:
- la richiesta di flessibilità da parte dei lavoratori - ancor prima che delle aziende - è spesso legata all'esistenza di condizioni geograficamente e climaticamente svantaggiate o alla necessità di razionalizzare la gestione individuale dei tempi di vita e di lavoro. È questa la variabile, ad esempio, che contribuisce a spiegare lo sviluppo del telelavoro in regioni vaste, poco popolate e fredde come il Canada e la Svezia (23);
- il supporto delle autorità pubbliche, che tramite leggi e regolamenti, spesso finalizzate alla riduzione dell'inquinamento e del traffico, assegnano bonus fiscali alle aziende che adottano il telelavoro. È il caso dello Stato della California e degli Usa in genere;
- la nascita di una produzione di cultura del telelavoro da parte dei gestori delle reti di comunicazione.

Sebbene i tre aspetti abbiano una importanza tanto maggiore quanto più sono combinati tra di loro, è l'ultima componente quella che sembra davvero cruciale nella creazione di un circolo virtuoso del telelavoro. L'offerta di cultura e conoscenza che nasce da chi per primo ha potuto sperimentare il telelavoro innesca interesse nel settore privato e spinge ad interventi legislativi di supporto quello pubblico. Offrire esempi vincenti di telelavoro genera un processo emulativo e di rincorsa che, a sua volta, favorisce la crescita di nuovi fenomeni culturali che confermano quelli precedenti. Si tratta di un processo irrinunciabile ed obbligato: il telelavoro rompe molti degli schemi sui quali è basata la cultura della società industriale che, partendo da Adam Smith sino al taylor-fordismo, ha prodotto un modo di produzione, ma anche un modello di socializzazione primaria e di divisione degli ambiti referenziali che viene oggi - seppur lentamente - messa in discussione.

Il telelavoro tra codificazione e informalità

Un'altra caratteristica riscontrabile in tutti i casi di telelavoro interno intrapresi dalle Telecom è l'esistenza di due livelli nei quali si sono svolte le sperimentazioni.
a) Al primo livello, che possiamo definire formale/codificato si è operato coinvolgendo personale di qualifica omogenea (ad esempio le centraliniste della BT o gli amministrativi della Bell Canada) per i quali è stata progettata una specifica postazione di lavoro e si è stipulato, con il sindacato che li rappresentava, un apposito contratto di telelavoro. Sono nate così esperienze "rigide": i lavoratori coinvolti operano da casa in orari e periodi definiti, hanno fasce di reperibilità prestabilite, rispettano modelli classici di interazione con i colleghi e i superiori. Queste esperienze, in definitiva, tendono a creare dei posti di lavoro a distanza, in cui la scrivania casalinga deve essere quanto più possibile un'appendice dell'ufficio. Lo scopo, spesso non dichiarato, è di tradurre in telelavoro le attività a bassa varianza - quelle contrassegnate da una sostanziale ripetitività dei compiti e pochi fattori imprevisti - e produrre un "prodotto telelavoro" essenzialmente tecnologico, da vendere con la garanzia che esso non sconvolge l'organizzazione aziendale preesistente. Si tratta di un approccio che, rigido sul versante della manodopera, vuole essere di scarso impatto sulle culture aziendali. L'idea progettuale sottesa da questi esperimenti assume i principali paradigmi tayloristici: la divisione tra chi progetta il lavoro e chi lo esegue, la determinazione rigida delle mansioni ottenuta tramite lo studio scientifico delle stesse, l'ambizione di creare una one best way, in questo caso tecnologica, ideando stazioni di lavoro casalinghe dedicate a mansioni semplici e standardizzate (ad esempio rispondere alle telefonate, trovare l'informazione richiesta in un database, comunicare il risultato al cliente). Questi tentativi, che cercano di introdurre il telelavoro senza modificare l'organizzazione, si sono rivelati utili al fine di collezionare dati e comportamenti, ma poco incisivi per quanto attiene la replicabilità e commerciabilità della soluzione. Alla BT inglese, ove si è svolto il più documentato di questi esperimenti, i risultati ottenuti sono stati ripresi soltanto in un altro caso, dopo due anni e sempre a titolo sperimentale. Tanto che la società afferma con chiarezza che i propri sforzi vanno ora nella direzione di costruire, anziché soluzioni standard, applicazioni custom di telelavoro (24).
b) La seconda direttrice, più proficua, sulla quale si sono dispiegate le esperienze di telelavoro delle Telecom è quella informale. In questi casi, fissando un insieme di regole di massima (spesso sotto l'aspetto di raccomandazioni anziché di direttive) si è data alla dirigenza periferica la possibilità di concordare con i dipendenti le modalità del telelavoro. Il centro offre un servizio di consulenza sul telelavoro e strumenti di ausilio alla decisione, ma lascia alla periferia l'onere e la discrezionalità della codificazione, più o meno elastica, del rapporto. A supporto di questa prassi esiste sempre un accordo quadro, quasi di principio, con le organizzazioni sindacali, che fissa i criteri minimi cui uniformarsi. I soggetti di questi rapporti di telelavoro sono sempre impiegati di alto livello, spesso gli stessi dirigenti (come nel caso della BT), che hanno attività che possono, almeno in parte, venir svolte più efficientemente da casa. Queste forme di telelavoro sono part time, - nel senso che si svolgono sia a casa che in ufficio - e in questo modo riducono molto sia la paura dell'isolamento/esclusione che il rischio di affievolimento dell'identificazione con l'azienda. Sono esperienze realmente innovative, in quanto si attuano all'interno di scenari lavorativi contraddistinti dalla massima flessibilità della prestazione. Scegliendo i dirigenti come primi soggetti del telelavoro, tra l'altro, si risponde concretamente sia alla paura dei dipendenti di entrare, con il telelavoro, in un tunnel che porta all'esclusione dall'azienda, sia alla necessità di pre-costruire nuovi paradigmi nella cultura aziendale. Le centraliniste di Inverness al termine della sperimentazione durata un anno lamentavano la progressiva perdita di visibilità in azienda e suggerivano l'importanza di avere supervisori che fossero a loro volta telelavoratori. Con questa lamentela esprimevano la necessità di avere con i capi una omogeneità di esperienze, indispensabili per costruire anche un rapporto efficiente ed orientato alla risoluzione di problemi noti ad entrambe le parti. Permettere ai quadri alti di telelavorare - secondo le loro specificità - ha facilitato quindi la diffusione dell'esperienza e ha facilitato il passaggio dalla cultura manageriale del "controllo sul lavoro" a quello del "controllo sul risultato".

Il vero ostacolo da superare nella diffusione del lavoro a distanza consiste nel passaggio dal paradigma dell'ufficio al primo posto - l'ufficio, cioè, come posto ove si svolgono al meglio tutte le attività - al paradigma del lavoro al primo posto. Questo comporta l'assunzione di una visione laica nei confronti dell'ambiente lavorativo: l'ufficio rimane il posto in cui nascono e si verificano le idee e dove la creatività e la progettualità trovano un impulso e una verifica collettiva, ma non necessariamente tutti i lavori vi vengono svolti al meglio. Vi saranno casi in cui l'ambiente ottimale di lavoro è il salotto di casa propria.

La commistione e l'interscambio tra esperienze formali e informali sembra quindi essere stata la strada più feconda per lo sviluppo del telelavoro. In questi casi si genera tra le diverse esperienze in atto nella stessa azienda una interrelazione schematicamente rappresentata nella figura 3.

Le esperienze codificate pongono le organizzazioni di fronte alla necessità di inglobare e ridurre a normalità le nuove modalità lavorative atipiche rispetto alla prassi vigente. Nel management sorge il problema di adattare i propri comportamenti per far fronte alla novità. Si tratta di un processo non dirompente, tutt'al più "fastidioso", mitigato dalla considerazione di trovarsi in una fase di transizione, in cui si è "sotto osservazione". Se si tratta di sperimentazioni del telelavoro, può per molti dirigenti essere conveniente trovarsi proprio nell'occhio del ciclone, in quanto così si aumenta la propria visibilità nei confronti delle gerarchie aziendali. Questo spiega perché solo di rado le esperienze codificate di telelavoro innescano un processo di generazione di nuove norme (intese come comportamenti condivisi dalla maggioranza degli attori - Gallino, 1993, pp. 458-462) in grado di contribuire alla trasformazione dell'organizzazione (25).

Le esperienze informali, al contrario, nascono spesso come operazioni pionieristiche, a volte dal genio imprenditoriale (Schumpeter, 1932) di alcuni manager, che sentono la necessità di flessibilizzare il proprio rapporto di lavoro e quello dei dipendenti (debbono, naturalmente, disporre della necessaria autonomia operativa per farlo). L'effetto che tipicamente si ottiene è, come indicato dalla figura 3, di coniugare la nascita di nuove modalità della prestazione con la diffusione di una cultura del telelavoro inteso come prassi di flessibilità ed informalità. È raro, in questi casi, che il telelavoro abbia inizio da sperimentazioni programmate a tavolino. La sua stessa genesi, però, fa sì che l'organizzazione senta, prima o poi, l'esigenza di raccogliere dati su quanto avviene al suo interno. L'innesco delle prassi scientifiche di raccolta dati e di interpretazione del reale, se da un lato tende a "esplorare l'informale" - facendolo quindi divenire un po' meno informale - dall'altro sistematizza l'esperienza e contribuisce ad allargarne il fall out sulle culture d'impresa.

Ancor più interessante è quanto avviene qualora formalità, informalità e conoscenze approfondite provenienti dalle sperimentazioni riescono a convivere. In questi casi - non molti, per la verità - si assiste alla nascita di nuove culture manageriali che, diffondendosi, riescono a generare nuovi modelli e nuove norme di comportamento dell'organizzazione. Si assiste, insomma, al passaggio del telelavoro dalla stravaganza alla normalità. Lavorare distanti dall'azienda - con o senza sofisticati strumenti informatici - diviene una possibilità intrinseca messa a disposizione dall'organizzazione per tutte le attività che se ne possano avvantaggiare sotto il profilo della produttività, della qualità o della creatività. L'organizzazione non teme più il telelavoro come varianza della sua architettura sociale: è riuscita nell'operazione di generare al suo interno le culture, ma anche le norme sociali e manageriali per gestirlo, renderlo utile, conveniente e, soprattutto, normale.

Il mix informalità e formalità:

adattare prima di adottare

Viene ora da chiedersi come mai, se pare sufficiente una procedura sistematica così lineare per sviluppare una cultura del telelavoro all'interno delle organizzazioni, siano tanto pochi - come testimonia anche il nostro studio - i casi in cui ciò è avvenuto. L'approccio informale richiede una precondizione: che esista una struttura gerarchica che lo renda possibile. Le organizzazioni, in sostanza, debbono prevedere la possibilità di innovare i propri paradigmi di riferimento: l'innovazione deve essere un valore da perseguire e di cui beneficiare. Seppur lo scopo di questo studio esuli dall'analisi delle culture manageriali delle organizzazioni, sembra d'obbligo almeno tentare di condurre una operazione di problem setting, individuando le variabili principali di cui tener conto e le loro interrelazioni.

Nel 1961 Rensis Likert pubblica una importante opera sugli stili di direzione, che a suo avviso può ispirarsi a quattro grandi modelli teorici. Da una parte identifica lo stile autoritario-sfruttatorio, in cui il comando è esercitato da leader indiscussi e indiscutibili (i demiurghi di C.W. Mills), le norme vengono fissate dall'alto e appaiono immutabili, almeno fin quando una nuova leadership non le renda obsolete. In queste organizzazioni l'innovazione che parte dal basso è pressoché impossibile, non ammessa né ipotizzabile. Un secondo stile individuato da Likert è quello autoritario- benevolo (o paternalistico): per esercitare il potere il management ha l'obbligo di cercare un consenso almeno apparente, tanto sfuggente quanto incerto. Il terzo modello viene definito invece consultivo: in questo caso l'attività decisionale del manager si legittima nella consultazione dei dipendenti, anche se non è poi scontato che le decisioni adottate tengano conto dei suggerimenti raccolti. Per finire l'autore tenta di dimostrare la superiorità del modello partecipativo di gruppo, che coinvolgendo i dipendenti dovrebbe ottenere risultati ottimali per le aziende:

«una tale organizzazione darà come risultato un'elevata produttività; prodotti di alta qualità; bassi costi; un basso grado di rotazione e di assenza; un'elevata capacità di adattarsi in modo efficiente ai cambiamenti; un grado elevato di entusiasmo e di soddisfazione da parte dei dipendenti, clienti e azionisti; buone relazioni con i sindacati» (Likert, 1973, p. 294).

L'approccio motivazionalista di Likert, in verità, è stato sottoposto a varie critiche (26), sulle quali è sconsigliabile entrare nel merito in questa sede. Quel che interessa è che la quadripartizione proposta dal sociopsicologo americano può utilmente venire impiegata, in un'ottica di analisi di dettaglio, come misuratore della predisposizione all'introduzione del telelavoro nelle organizzazioni complesse. È possibile infatti partire dall'ipotesi che l'approccio formale al telelavoro sia più congeniale ad aziende basate su leadership autoritarie, mentre quello informale meglio si adatta alle aziende più partecipative. Ne discende che il mix tra le due modalità va calibrato sulle caratteristiche dell'organizzazione in esame. Va anche detto, in verità, che nella maggioranza delle aziende non è infrequente né la convivenza tra diversi modelli dirigenziali, né la posizione duale del manager a cavallo tra due stili: quello che esso esercita sui dipendenti e quello esercitato su di lui dalla gerarchia. L'incrocio tra i diversi ambiti (modelli di leadership e meccanismi di riconoscimento del potere) permetterà quindi un approccio teorico bilanciato.

Un secondo contributo per la comprensione delle problematiche della leadership ci viene, sempre nel 1961, da Amitai Etzioni. In un'opera intesa ad individuare le variabili di classificazione e comparazione tra diverse organizzazioni, l'autore sviluppa due importanti concetti: da una parte quello della compliance, cioè la disposizione all'obbedienza che nasce dall'interazione tra il tipo di controllo esercitato e l'orientamento di coloro i quali sono sottoposti al controllo. Dall'altra Etzioni si sofferma sulla legittimazione della leadership. A suo avviso un capo può essere tale o per le sue qualità personali o per il ruolo ricoperto nella gerarchia. Le due grandezze, avverte Bonazzi, «sono tra loro indipendenti, nel senso che alle qualità personali può non corrispondere una carica ufficiale e viceversa» (Bonazzi, 1994, p. 299). Incrociando le due fonti di legittimazione Etzioni ottiene tre modelli teorici di leadership: formale, quando essa è attribuita ufficialmente ad individui di cui siano riconosciute le qualità personali; informale, quando alle qualità dell'individuo non corrisponde un'investitura da parte dell'organizzazione; burocratica nel caso opposto. Anche questa modellizzazione può venir utilmente utilizzata per predire l'approccio al telelavoro ottimale per una data organizzazione: laddove la leadership nasce da investiture esterne e non è supportata da legittimazione personale, è più difficile seguire la strada informale.

Da quanto detto, allora, discende che il mix tra approcci formali, informali e sperimentali verso il telelavoro, pur essendosi rivelato ottimale nei casi studiati, non è meccanicamente applicabile a tutte le organizzazioni. Anzi, esso può essere disfunzionale per quelle che adottano, di fatto (27), stili manageriali autoritari o imposti. Pertanto non può esistere - ci preme sottolinearlo - uno standard per introdurre il telelavoro nelle aziende. Il processo dipenderà dagli assetti esistenti e dai modelli reali di comando e autorità. Da ciò discende la necessità di studiare l'organizzazione per comprenderne le particolarità e, rispettandone sostanzialmente la tipologia, intervenire per metterla in grado di utilizzare i vantaggi del telelavoro.

(1) Va detto che la direttiva, oltre che il telelavoro, ha incentivato anche l'adozione delle cosiddette pool cars da parte di gruppi di dipendenti.
(2) Si veda: http://www.pacbell.com/Lib/TCGuide/tc-0.html
(3) Intervista dell'autore con Joan Pratt, Aprile 1996.
(4) Nell'anno dell'esperimento le 11 lavoratrici risposero a circa 750.000 chiamate degli utenti.
(5) La guida, nella sua versione originale non è stata mai pubblicata, ma ha dato luogo, nel 1994, alla pubblicazione del rapporto: Managin Telework, preparato per conto dei Laboratori da Gil Gordon (28 Febbraio 1994).
(6) Mentre il diretto superiore aveva il videotelefono integrato nella postazione di lavoro, un secondo apparecchio fu messo a disposizione dei dipendenti nella caffetteria del centro DA di Inverness.
(7) Da una parte si confermano i vantaggi (diminuzione dello stress, monitorato somministrando un test statistico assai affidabile, l'Occupation Stress Indicator, aumento della flessibilità del lavoro e della disponibilità a "coprire" modifiche improvvise nei turni di lavoro, maggior tempo a disposizione grazie alla riduzione degli spostamenti), dall'altra gli svantaggi (problemi di manutenzione in caso di guasto delle apparecchiature, riduzione della vita relazionale esterna delle dipendenti).
(8) Tanto che, quando alla ventesima settimana di esperimento fu chiesto alle telelavoratrici di sospendere il videocontatto all'inizio del turno, l'indice di soddisfazione nel lavoro cadde rapidamente, per tornare poi ad aumentare quanto l'interazione fu ristabilita.
(9) Ad esempio, durante l'esperimento il Nord della Scozia fu colpito per una settimana da tempo particolarmente inclemente, che rese per alcuni giorni i trasporti problematici. In quell'occasione i lavoratori da casa continuarono a coprire i loro turni e, in alcuni casi, anche quelli di colleghi impossibilitati a raggiungere l'ufficio.
(10) Citato in Bibby (1996).
(11) Al termine della fase iniziale il telelavoro dovrebbe essere allargato ad altri centri di vendita telefonica.
(12) Ed è, peraltro, anche il più documentato dalla BT.
(13) Va detto, per la verità, che lo stesso accordo affermava preliminarmente che tali caratteristiche erano possedute dalla grande maggioranza dei manager della BT.
(14) Ad esempio: nel 1993 Mike Gray, il capo del gruppo sul telelavoro dei BT Labs ha pubblicato, insieme a Noel Hodson e Gil Gordon, il libro Teleworking Explained, coedito da BT e John Wiley & Sons; nel novembre del 1995, durante la settimana europea del telelavoro, BT ha diffuso i risultati di una ricerca svolta tra un campione di lavoratori pendolari, il 75% dei quali sarebbero stati disposti a lavorare da casa, almeno saltuariamente, tramite Internet.
(15) La struttura della pubblicazione è la seguente:
Volume base: Guida pratica
Appendice 1: Analisi dei compiti del distretto
Appendice 2: Selezione dei candidati al telelavoro
Appendice 3: Analisi dei costi
Appendice 4: Contratto individuale di telelavoro
Appendice 5: Informazioni per i colleghi del telelavoratore
Appendice 6: Analisi dei telelavoratori
(16) L'altra organizzazione sindacale esistente presso la Bell, il CEP, non ha siglato l'accordo e quindi i lavoratori iscritti a questa organizzazione non possono accedere al telelavoro.
(17) La Bell sconsiglia vivamente di lavorare da casa per più di quattro giorni alla settimana e la gran parte degli accordi sinora stipulati non superano i due, tre giorni alla settimana.
(18) Si tratta di una stima. È attualmente in corso una ricerca diretta dalla Prof. Janet Salaff della Facoltà di Sociologia dell'Università di Toronto.
(19) L'indirizzo del Web è: http://www.bell.ca/Bell/eng/products/telework/default.htm
(20) La struttura sindacale svedese - e dei paesi scandinavi in particolare - è tale che la Confederazione nazionale contratta soltanto i livelli retributivi nel corso di sessioni contrattuali assimilabili ai nostri incontri di politica dei redditi. La stipula dei contratti, siano essi nazionali che locali, è delegata completamente alle strutture di categoria, che godono quindi, con l'esclusione delle materie retributive, di un'ampissima autonomia.
(21) Gli undici telelavoratori presi in considerazione avevano il coniuge occupato e i figli in età scolastica.
(22) Per un approfondimento si rimanda alla bibliografia.
(23) Si vedano, in merito, due interviste rilasciate da Anders Sundstrom, Ministro del Lavoro di Svezia in: Teldok, 20 Second to Work, Report 101E, Stockholm, 1995 e in Il telelavoro in Svezia, Media Mente Web site, http://www.uni.net/mediamente/web/biblio/interv/int_062.htm
(24) Si veda l'intervista a Paul Maguire in appendice.
(25) Secondo Gallino più congeniale al telelavoro è la c.d. azienda virtuale: un costrutto organizzativo-funzionale in cui i membri interagiscono in forma reticolare, nell'ambito di norme condivise e aperte alle modificazioni. I manager possono perdere il controllo dei meccanismi di funzionamento interni al reticolo, senza che questo sia disfunzionale agli scopi dell'azienda (Gallino, 1996).
(26) In particolare da C. Perrow (1977) e dagli stessi allievi di Likert: Marrow, Bowers e Seashore (1967).
(27) Va detto che esiste una differenza notevole tra struttura organizzativa pensata dal management e stili di direzione sancite dalle norme formali. Basti ricordare Gouldner (1970): le norme hanno anche la funzione latente di deriva, in quanto permettono ai manager di contrattarne informalmente l'applicazione con i dipendenti.





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