Da: P. Di Nicola (a cura di), Il Manuale del telelavoro, Roma, Seam, 1997

Introduzione. Il telelavoro dalla sperimentazione al mercato

di Patrizio Di Nicola

1. Il telelavoro, questo sconosciuto.

Un manuale sul telelavoro che si rispetti non può che iniziare dandone una definizione. Il telelavoro è una professione nuova? Oppure una forma di lavoro alternativa? O non è, magari, una delle tante mode - affascinanti quanto bizzarre - che attraversano in un lampo le società industrializzate, per poi scomparire all’orizzonte con altrettanta rapidità ? E in che rapporto esso si trova con il lavoro in quanto tale ?Conosciuto nei paesi di lingua inglese come Telework o, nella sua versione americana, Telecommute (telependolarismo, accezione che mette l’accento sulla possibilità di sostituire gli spostamenti delle persone con il trasferimento telematico dei lavori d’ufficio) il telelavoro, in prima approssimazione, può venire inteso come una modo di lavorare che è indipendente dalla localizzazione geografica dell’ufficio o dell’azienda, ed è facilitato dall’uso di sistemi informatici e telematici. Vi è, naturalmente, chi afferma che si possa telelavorare anche senza necessariamente impiegare tecnologie raffinate: basta un telefono, magari un fax. In realtà è assai improbabile che sia così: per ricreare in un altro posto che non sia l’azienda l’ambiente tipico di un ufficio moderno le tecnologie appaiono oggi tutt’altro che un optional.

Il telelavoro è però molto di più di una semplice tecnica per delocalizzare gli uffici. Esso permette di rendere il lavoro indipendente dalle restrizioni geografiche e temporali: le persone possono così decidere modi e luoghi del lavoro. Ne discende che il telelavoro non è una professione e tantomeno un mestiere: per sua natura, è applicabile sia ai lavoratori dipendenti che a quelli autonomi e a una vasta gamma di attività diverse. Chi lavora a distanza sfruttando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (o TIC: così vengono chiamati in gergo gli strumenti - computer, programmi e linee di comunicazione- che fanno uscire i computer dall’isolamento della scrivania e lo mettono in contatto con il mondo esterno) rimane, anzitutto, un contabile, un traduttore, un programmatore o un qualsivoglia altro tipo di professionista. Quel che farà la differenza è che, per svolgere il suo compito non dovrà necessariamente recarsi in un ufficio tutte le mattine dalle 8 alle 17: il suo posto di lavoro può essere ovunque vi sia un cliente, una connessione alla rete aziendale, la possibilità di spedire files e messaggi.

Ma del telelavoro esistono molte altre definizioni, come indicato nel riquadro che segue, nessuna delle quali universalmente accettata come "definitiva".

Il telelavoro è:

Qualsiasi attività alternativa di lavoro che faccia uso delle tecnologie della comunicazione non richiedendo la presenza del lavoratore nell'ambiente tradizionale dell'ufficio. Martin Bangemann, Commissario EuropeoQualsiasi attività svolta a distanza dalla sede dell'ufficio o dell'azienda per cui si lavora, quindi anche senza ricorrere a strumenti telematici.Domenico De Masi, SociologoLavoro a distanza svolto con l'ausilio delle tecnologie telematiche.Francesco Fedi, Fondazione Ugo BordoniOgni forma di sostituzione degli spostamenti di lavoro con tecnologie dell'informazione.Jack Nilles, Jala InternationalForma di lavoro effettuata in luogo distante dall'ufficio centrale o dal centro di produzione eche implichi una nuova tecnologia che permetta la separazione e faciliti la comunicazione. Ufficio Internazionale del Lavoro (BIT - Ginevra)

La migliore definizione che sinora si è affacciata nell’arena del telelavoro, ad avviso di chi scrive, è quella coniata in una pubblicazione della Fondazione Europea di Dublino:"Telelavoro e' ogni forma di lavoro svolta per conto di un imprenditore o un cliente da un lavoratore dipendente, un lavoratore autonomo o un lavoratore a domicilio che e' effettuata regolarmente e per una quota consistente del tempo di lavoro da una o piu' localita' diverse dal posto di lavoro tradizionale utilizzando tecnologie informatiche e/o delle telecomunicazioni" (Blainpain, R., The Legal and Contractual Situation of Teleworkers in the Member States of the European Union, European Foundation, Dublino, 1995, pag. 8-9)

La disputa terminologica, come si vede, è accesa....

2. Le forme che assume

A prescindere dalla definizione che ne viene data, è ormai universalmente accettato che esistono forme diverse di telelavoro, legate principalmente al luogo in cui esso viene svolto; si parlerà, di volta in volta, di:

Telelavoro da casa o domiciliare, quando il lavoratore, utilizzando un angolo dell’appartamento fornito di computer, fax, modem e altre attrezzature, svolge i suoi compiti principalmente da casa. L'interazione con l'ufficio può essere su base costante (ad esempio essendo un nodo della rete aziendale) o saltuaria. In quest’ultimo caso si riceve - ad esempio tramite Internet - il lavoro da svolgere (pagine da tradurre, specifiche di un programma da realizzare, ecc.) e si invia poi il risultato all'azienda o al committente.

Telelavoro da centri satelliti o di vicinanza. In questo caso il lavoratore, anzichè recarsi in azienda, si sposta presso un centro (che può essere di quartiere nel caso delle grandi città o di paese, se si tratta di un piccolo centro, ma comunque vicino alla sua abitazione) attrezzato per il telelavoro. Da lì entra in contatto con la sua azienda, scambia dati, carica programmi e quant'altro gli sarà necessario per pianificare e svolgere il suo lavoro. Il telecentro può essere di proprietà di una singola impresa - che lo utilizzerà quindi esclusivamente per i propri dipendenti- oppure di un consorzio di aziende, di una impresa che affitta i posti operatori o anche della pubblica amministrazione. Se si esclude il primo caso, negli altri il telecentro sarà a disposizione, a fronte di un canone di affitto, di più lavoratori di imprese diverse.

Telelavoro mobile, quando l’attività si svolge da una postazione di ingombro ridotto e facilmente trasportabile, tipicamente composta di un PC portatile, un fax-modem e un telefono cellulare. Con questa attrezzatura il lavoratore ha l’"ufficio appresso": può, ad esempio, recarsi dai clienti e, da lì, collegarsi con l'ufficio per inviare ordini, aggiornare quotazioni, fare teleconferenze con esperti e tecnici in sede. Più semplicemente, spine e adattatori permettendo, può lavorare da una stanza di albergo, durante uno spostamento.

Telelavoro Office-to-Office. Il telelavoro non è solo quello che si svolge lontani dall’ufficio. Al contrario: si può telelavorare anche stando seduti in una scrivania tradizionale. Ad esempio facendo parte di un team disseminato per il mondo che lavora con tecniche di groupware o tramite Internet. Molti dei software che acquistiamo nascono proprio così: analisti, programmatori e esperti vari non è detto siano tutti presenti nella stessa sede. Anche i grandi progetti di ricerca sono svolti da studiosi che lavorano in posti distanti migliaia di chilometri ma che, grazie a alle tecnologie, riescono a costituire un gruppo di lavoro.

Azienda Virtuale. L’azienda, al limite, potrebbe esistere soltanto in rete.... Uffici, scrivanie, parcheggi, corridoi e salottini divengono un’infrastruttura che fa parte dell’archeologia post-industriale e vengono invece sostituiti da siti Web, aree private di discussione o per il download dei documenti, sistemi di telefonia e videoconferenza sul computer. Con queste attrezzature l’azienda virtuale parte con un vantaggio innegabile sui concorrenti tradizionali: i costi fissi sono quasi ridotti a zero, l’organizzazione è più che flessibile, addirittura evapora. In tali condizioni riconvertire un’attività produttiva è affare di qualche minuto.

Quelle indicate sopra sono forme "pure" di telelavoro, che difficilmente sarà possibile riscontrare - incontaminate - nella realtà di ogni giorno. Pochi - se non costretti - lavoreranno sempre da casa o da un telecentro: di tanto in tanto, a volte con discreta frequenza - due tre volte a settimana - torneranno in azienda, se non altro per incontrare i colleghi e i capi o, più probabilmente, perché vi saranno lavori che è preferibile fare in un ufficio tradizionale anziché on the road. A differenza di quel che pensano molti esperti, al centro degli interessi delle organizzazioni e delle persone non vi è il telelavoro - magari in una combinazione originale delle forme appena viste- ma bensì il lavoro, da svolgere laddove è più conveniente e produttivo.

3. La lunga storia del telelavoro

3.1 Fase Uno: l’entusiasmo Di telelavoro si parla sin da quando non erano ancora disponibili quei mezzi, come i fax, i computer "personali" e le reti di comunicazione digitali che lo rendono oggi tecnicamente possibile e utilizzabile - almeno in teoria - su larga scala. Il telelavoro era materia più per futurologi che non per scienziati sociali o ingegneri. J. Martin e A. Norman, ad esempio, sin dalla fine degli anni Sessanta predicono che le nuove tecnologie favoriranno il ritorno all'industria casalinga, "con il filatoio sostituito dal terminale del computer". Sulla stessa falsariga M. Webber che, in un articolo del 1968, affascinava i lettori dicendo che, grazie alle reti di trasmissione dati, era possibile rimanere in contatto "intimo, realistico e in tempo reale" con i propri affari pur standosene tranquillamente in cima ad una montagna. In questi precursori lavoro e tempo libero, lavoro e vacanza si intrecciano, come nella improbabile e affascinante utopia ecologista di E. Callenbach: "la distinzione tra lavoro e non-lavoro in Ecotopia sembra in via di sparizione, insieme con la nostra concezione del lavoro come alcunché di separato dalla "vita reale". Gli ecotopiani, per quanto incredibile, si divertono a lavorare". La lista degli entusiasti del telelavoro, sino ai giorni nostri, potrebbe allungarsi a dismisura. Come anche quella delle profezie sbagliate. Sulla scia dell’entusiasmo che creava la sola idea di poter lavorare da casa o da una cottage in mezzo ai boschi, - riducendo al contempo l’inquinamento e migliorando la qualità della vita - negli anni settanta aziende, consulenti ed esperti si danno un gran da fare per fornire stime e previsioni sullo sviluppo che avrebbe avuto in un futuro più o meno prossimo il telelavoro. La AT&T, ad esempio, nel 1970 affermava incautamente che di lì a venti anni tutti gli americani avrebbero lavorato da casa; dieci anni dopo la stessa compagnia riduceva la stima, ma non di troppo: i telelavoratori nel 2000 sarebbero stati il 40% della forza lavoro. In Inghilterra, più modestamente, se ne prevedevano oltre 3 milioni nel 1995. Molti si attendevano, insomma, uno sviluppo rapidissimo: eppure, a trenta anni di distanza da quelle profezie, il telelavoro stenta ancora a diffondersi. Come notano W.B. Korte e R. Wynne, "più le stime sono recenti, meno tendono all’ottimismo: gli autori via via scoprivano che l’evoluzione del telelavoro sarebbe stata lenta, ma costante". Per risalire al numero dei telelavoratori - o quantomeno per averne un’idea - non possiamo che affidarci e confidare nelle stime, peraltro a volte discordanti, che Istituti e Enti hanno di volta in volta elaborato. In America, ad esempio, si parla comunemente, a seconda delle fonti, di 5 o 8 milioni di persone che telelavorano, almeno per un giorno alla settimana, da un ufficio satellite o più spesso ancora da una stanza del loro appartamento. Numero che può arrivare a raddoppiare se si conteggiano anche i cosiddetti guerrilla workers, specie in via di espansione di free-lance casalinghi, spesso titolari di un home business - cioè di un’azienda in casa - svolto come seconda attività e pronti a lanciarsi negli interstizi del lavoro nella società postindustriale. Cosa fanno questi guerriglieri del lavoro è difficile da dire, tante sono le attività che hanno inventate: dalla gestione delle liste postali, alle vendite telefoniche sino alla ricerca di informazioni su Internet e le banche dati on-line. In pratica, raccolgono i molti lavori, a volte da super esperti, ma ancor più spesso dequalificati, che le aziende, downsizing dopo downsizing, non svolgono più al loro interno. In Giappone si stimano 396.000 telelavoratori, ma il loro numero sale fino a un milione se si includono anche quelli che lavorano da casa solo per qualche giorno al mese. Anche in Europa esistono varie stime sul lavoro a distanza. La più autorevole è senza dubbio quella elaborata nel 1994 da Empirica nell’ambito del progetto comunitario TELDET. Lo studio fu condotto somministrando un questionario telefonico a circa 2.500 dirigenti industriali in Italia, Spagna, Inghilterra, Germania e Francia. Il telelavoratore veniva definito come un soggetto che lavorava da casa o da un ufficio satellite vicino alla propria abitazione in maniera continuativa o saltuaria, che poteva essere un dipendente dell’azienda o un professionista autonomo e, infine, che usava un computer per il suo lavoro e rimaneva in contatto con l’azienda grazie ai sistemi di telecomunicazione. In questo modo il gruppo di ricerca giunse a stimare sia le aziende che adottavano il telelavoro (5% a livello europeo, con picchi positivi del 7% in Inghilterra e Francia e negativi, del 3,6 e del 2,2% rispettivamente in Spagna e Italia), sia il numero di persone coinvolte, oltre un milione, 97.000 dei quali in Italia.

 

Stima del numero di telelavoratori nel mondo

Paese Forza lavoro Telelavoratori Percentuale

telelavoratori

       
USA

Germania

Francia

Regno Unito

Italia

Canada

Spagna

Paesi Bassi*

Portogallo*

Belgio*

Grecia*

Svezia

Danimarca

Irlanda

Lussemburgo

121.600.000

36.528.000

22.021.000

25.630.000

21.015.000

14.907.000

12.458.000

6.561.000

4.509.000

3.770.000

3.680.000

3.316.000

2.584.000

824.000

165.000

5.518.000

149.013

215.143

563.182

96.722

521.745

101.571

27.203

25.107

18.044

16.830

125.000

9.800

15.000

832

4.54

0.48

0.98

2.20

0.46

3.50

0.82

0.41

0.56

0.48

0.46

3.77

0.37

1.40

0.50

Fonte: Rapporto Teldet, 1994 e Rapporto Telefutures, 1996

 

Ma gli stessi ricercatori di Empirica, approfondendo il caso inglese, dichiaravano onestamente come le loro stime fossero difficilmente comparabili con quelle calcolate in precedenza. Ad esempio M. Gray ed altri, nel 1993, erano giunti alla conclusione che i telelavoratori inglesi erano circa 1.270.000, per la metà lavoratori autonomi e quasi per l’altra metà lavoratori mobili, mentre U. Huws nello stesso anno parlava di circa 130 mila inglesi coinvolti nel telelavoro. Le tre valutazioni, come si vede, differiscono di quasi un ordine di grandezza. Non dissimile l’incertezza sui dati in Italia. Lo studio europeo, come visto, ci attribuiva circa 100.000 telelavoratori. Ma un ampio sondaggio svolto nel 1996 da RST e Metron per conto di Telecom Italia giungeva a conclusioni più modeste: quelli che dichiaravano agli intervistatori di telelavorare al momento della rilevazione erano circa 39 mila, mentre altri 26 mila affermavano di aver avuto esperienze simili in passato

3.2 Fase Due: la necessità

Perché l’idea di telelavoro ebbe, e ha ancora ai giorni nostri una fortuna così grande, seppur non seguita da una altrettanto entusiastica adozione ? Tutto inizia con il primo grande shock petrolifero, che, facendo scarseggiare il petrolio e i suoi derivati - prima fra tutti la benzina- porta Governi ed aziende a riporre grandi speranze nel telelavoro.Nel 1970 una automobile che circolava sulle autostrade americane consumava, per percorrere 100 chilometri, oltre 15 litri di benzina. Non e’ casuale che gli eventi del 1973 abbiano dato luogo a una intensa attività di studio sul telelavoro, specialmente del Dipartimento dei Trasporti degli USA. Jack Nilles, un esperto del settore, conia in quegli anni il termine "telecommuting" (telependolarismo) per indicare come fosse possibile e consigliabile ridurre i consumi muovendo i dati e il lavoro anziché le persone fisiche. Ma nell’elaborazione di Nilles non vi era soltanto questo: egli anticipava anche il concetto di telecentro o centro satellite attrezzato per il telelavoro. Come noterà molti anni dopo:" In the mid '70s I thought that the telework center mode would be the dominant form of telework, for two reasons: 1) the main mode of computer-related communication was a dumb terminal hooked constantly to a mainframe somewhere--with excessively high phone bills if the workers were at home; and 2) given the management's terror of not having direct oversight of the staff, a conventional office environment would be more acceptable." (Jack Nilles, Intervento del 18/10/1996 al forum telematico etw-forum@eto.org.uk).Il telelavoro, in quegli anni, diviene oggetto di sperimentazione pionieristiche in alcune grandi compagnie telefoniche nord americane. Così, ad esempio, Susan Wearchonowacz racconta i primi esperimenti svolti alla Bell Canada:"Il telelavoro interno alla Bell Ontario (all’epoca questo era il nome della Bell canadese) iniziò all'inizio del 1970 con un progetto chiamato Alternative Work Arrangment che permettava ad un piccolo gruppo di persone di lavorare da casa, con le tecnologie disponibili. Pochi sapevano di cosa si trattasse e non esistevano accordi con il sindacato. Il programma neanche citava espressamente la parola telelavoro. Per gestire il programma fu costituito un team dedicato, l’Home Resource Group, che aveva lo scopo di studiarne i pro e i contro per l’azienda. Con lo sviluppo delle tecnologie informatiche e telematiche, si è iniziato ad aprire la rete aziendale alle connessioni esterne. Oggi (nel 1996) quasi il 70% degli addetti è autorizzato a collegarsi da casa e lo fa spesso la sera per preparare rapporti, leggere e spedire posta elettronica. In alcuni casi, pochi per la verità, vengono anche utilizzati i software che risiedono nei mainframe." (Estratto da un’intervista rilasciata all’autore)

3.3 Fase Tre: l’oblio

Gli anni Ottanta vedono un fiorire di attività accademiche e studi sul telelavoro: si organizzano seminari, workshop, conferenze, si svolgono ricerche, per lo più sul home telework, che finisce per divenire, nell’immaginario collettivo e nei reportage giornalistici, un po’ il telelavoro in quanto tale, la sola, unica e pura forma di lavoro telematico a distanza. Articoli e interviste si concentrano sulle donne, sulla possibilità di badare ai bambini mentre si lavora, sull’integrazione tra ambiente familiare e lavorativo. O, al contrario, sui problemi della marginalizzazione e dell’isolamento. Non stupisce che, in quegli anni, sia i movimenti femministi che i sindacati siano fieramente contrari al telelavoro, che viene visto come un espediente del capitale per relegare ai confini esterni del sistema produttivo - e poi magari cacciare - i lavoratori più deboli o addirittura come una strategia per rispedire le donne tra i fornelli. Ma il rischio è soltanto teorico: le aziende - anche quelle più interessate al telelavoro - sono tutt’altro che rapide nell’adottarlo e le sperimentazioni concrete del telelavoro come strumento di riorganizzazione delle funzioni aziendali sono pochissime e limitate a pochi lavoratori di elevata professionalità. Il telelavoro, sebbene molto dibattuto, cade in un oblio che sembra anticiparne la scomparsa definitiva dalle scene.Gli anni Ottanta vanno anche ricordati per l’emergere di alcuni fatti nuovi: - da una parte gli strumenti di elaborazione personale divengono parte integrante dell’arredo casalingo di molti lavoratori di fascia medio-alta; ciò contribuisce a diffondere tra i diretti interessati l’idea che a casa si possa lavorare come in ufficio (e a volte persino meglio) . E’ il fenomeno, noto alle aziende di informatica, del SOHO (Small Office, Home Office): una abitazione che diviene ufficio e che in molti casi lo può sostituire completamente grazie alla disponibilità di hardware sofisticato - stampanti laser personali, modem, scanner e quant’altro - e a costi ridottissimi..- nel 1987 una rete di computer, ARPANet, sino ad allora di proprietà del Dipartimento della Difesa passa nelle mani della National Science Fundation, l’Ente americano per il coordinamento della ricerca, e viene aperta alle utenze accademiche e, timidamente, anche ai privati e agli utenti commerciali. E’ l’inizio del boom di Internet, che di lì a pochi anni collegherà milioni di persone in ogni parte del mondo e costringerà aziende come la Microsoft a rivedere completamente le proprie strategie di sviluppo.L’unione dei due fenomeni (ampia disponibilità di PC casalinghi e diffusione di Internet, cui è possibile accedere da una qualsiasi linea telefonica urbana) prepara la strada alla rinascita dell’interesse di massa verso il telelavoro.

3.4 Fase Quattro: il ritorno gloriosoAll’inizio degli anni Novanta spetta alle Amministrazioni pubbliche rilanciare l’idea del telelavoro:- negli Stati Uniti per combattere l’inquinamento viene pubblicato il Clean Air Act (1990), seguito nel 1994 dalla legge 3923. Le due normative incentivavano le grandi aziende a ridurre il numero di dipendenti che utilizzano l'auto privata per i loro spostamenti da e verso l'ufficio, assegnando anche cospicui bonus fiscali a chi convertiva posti di lavoro fissi in lavori a distanza. Il 23 Dicembre 1995 il Clean Air Act viene poi modificato e la riduzione degli spostamenti perde il suo originario carattere di obbligatorietà. Ma nel frattempo, negli Usa, il telelavoro aveva dato più volte prove tangibili della sua utilità sociale. Ad esempio, durante i terremoti che avevano colpito la California nel 1989 e nel 1994, grazie al telelavoro molte persone avevano continuato a lavorare da casa, mitigando così, se non il disastro ambientale, almeno quello economico; - in Europa la spinta maggiore a favore del telelavoro viene invece dalla Commissione Europea, che da anni mette a disposizione fondi per la sua sperimentazione. Anche se soltanto di recente, con il Rapporto Bangemann, ha fissato con chiarezza gli obiettivi cui punta: dieci milioni di nuovi posti di telelavoro entro il 2000. (Cfr. Bangemann, M. et al., L’Europa e la società dell’informazione globale, Bruxelles, 1994)

Sempre all’inizio del decennio in corso (e sempre negli Stati Uniti) accade un altro fatto nuovo, destinato ad avere un impatto notevole sulle vicende del telelavoro: il Vice Presidente Al Gore lancia la NII (National Information Infrastructure initiative), un ambizioso piano tecnologico per la creazione di una rete di computer ad altissima velocità. Sulle corsie della nuova autostrada dell’informazione, che nonostante le novità annunciate non potrà certo prescindere dall’esistente, cioè da Internet, correranno contenuti multimediali, film, intrattenimento, ma il lavoro telematico la farà da padrone. Gli sviluppi recenti, infatti, fanno di Internet il supporto tecnologico principale per la pratica e la diffusione del telelavoro. La disponibilità di connessioni a basso costo, l’evoluzione delle strutture informative aziendali, il gemellaggio tra Internet e sistemi interni (Intranet), la disponibilità di meccanismi di sicurezza in grado di schermare le Lan aziendali da "incursioni esterne" rendono attraente Internet come "rete per il lavoro" interno e esterno alle aziende.

Si tratta di un’evoluzione che interessa le grandi aziende, ma non solo: il mercato consumer offre soluzioni originali e a bassissimo costo perfettamente idonee per il telelavoro di singoli professionisti e piccole imprese. Sono disponibili programmi, come ad esempio Net Meeting, un software per Windows 95 prodotto e distribuito gratuitamente dalla Microsoft, oppure Netscape Communicator o ancora il potente Lotus Notes, che permettono di lavorare in gruppo senza rinunciare al piacere di starsene comodamente ciascuno a casa propria (o in ufficio: questi software funzionano al meglio anche tra utenti di una Intranet). Come si utilizza un programma del genere ? Il primo passo è, come d’uso, quello di fissare un orario per la riunione in cui tutti i partecipanti al meeting dovranno essere collegati a Internet. Il software provvederà automaticamente a fare da "ponte" tra i vari utenti tramite uno speciale server. Iniziata la sessione, ogni partecipante avrà davanti uno schermo diviso in più parti, in cui è possibile conversare, vedersi, trasferire immagini e filmati, oppure lavorare assieme su uno stesso documento. La grande paura dell’isolamento dall’ambiente sociale dell’ufficio sembra così destinata a mitigarsi: ai rapporti fisici si sostituiscono interazioni digitali in tempo reale, alle riunioni fisiche quelle virtuali. In alcuni casi sarà possibile perfino ricreare artificialmente le chiacchiere di corridoio: la BT - l’azienda telefonica inglese - ci ha pensato seriamente ed ha installato un terminale per videoconferenze proprio nel bar dell’ufficio di Inverness, in modo che nei momenti di pausa lavoratori in sede e telelavoratori potessero idealmente "prendersi un caffè insieme".

  1. Vantaggi ? Svantaggi ?

Quasi tutti i libri che trattano di telelavoro hanno un capitolo dedicato a vantaggi e svantaggi. Noi non saremo da meno, e in questa introduzione al telelavoro proponiamo una tabella riassuntiva di vantaggi e svantaggi particolarmente problematica, in cui alcuni aspetti (ad esempio la maggiore vicinanza alla famiglia) possono assumere valenze positive o negative. Per fare un esempio: se i coniugi stanno per separarsi - e, come d’uso la situazione è tesa - lavorare in casa è da considerarsi un vantaggio o uno svantaggio ?

 

VANTAGGI E SVANTAGGI DEL TELELAVORO

Per il Lavoratore
Per l’Azienda
VANTAGGI
SVANTAGGI
VANTAGGI
SVANTAGGI
Diminuzione del tempo dedicato agli spostamenti
Minore visibilità e carriera
Aumento della produttività (tra il 10 e il 45%)
Difficoltà nella gestione dei lavoratori distanti
Lavoro secondo le proprie disponibilità e bioritmi
Isolamento, riduzione della vita relazionale esterna
Diminuzione dei costi e delle dimensioni aziendali
Riorganizzazione culturale dei processi aziendali
Aumento del tempo libero
Diminuzione del tempo libero (sindrome del Workhaolic)
Maggiore motivazione dei dipendenti
Diversi contratti di lavoro da gestire
Controllo per obiettivi
Minore guida e aiuto nel lavoro (self control)
Riduzione del numero e ruolo dei capi intermedi
Conflittualità con i capi intermedi
Maggiore vicinanza alla famiglia e amici
Maggiore vicinanza alla famiglia e amici
Minori spese per l’affitto degli immobili e il turn over
Maggiori spese per apparati di telecomunicazione e formazione
Libera scelta del posto dove vivere
Riduzione della distinzione spaziale tra casa e ufficio
Maggiore flessibilità organizzativa
Ridiscussione dell’organizzazione aziendale

Il problema di tabelle come quelle sopra è che esse si basano più sul buon senso comune e sullo studio di pochi casi che non su dati empirici scientificamente significativi. E’ infatti intuitivo che ridurre il numero di persone che quotidianamente si spostano per recarsi al lavoro porterebbe diversi benefici sociali. La riduzione del traffico e dell’inquinamento, anzitutto. Poi una migliore gestione degli spazi urbani e la riqualificazione delle città, i cui centri sono affollati di uffici che potrebbero utilmente lasciare il campo ad altre attività pensate per la collettività anziché per il profitto individuale. Per non parlare dell’ottimizzazione delle dimensioni spaziali delle aziende, della riduzione del costo per occupato e, infine, dell’aumento della produttività individuale che potrebbe derivare - ma non è ancora certo - dalla maggiore libertà del lavoratore.

Eppure - nonostante queste percezioni condivise dai più - il telelavoro non è ancora un fenomeno di massa. E le aziende che lo sperimentano si sono a volte sentite in dovere di avvertire i propri dipendenti dei possibili rischi cui vanno incontro. La Bell canadese, nella sua "guida pratica" al telelavoro, consiglia i manager di non mandare a casa chi ha la sindrome del Workaholic, cioè chi tende ad ubriacarsi di lavoro perdendo la distinzione tra attività produttiva e tempo libero. La nostra Telecom, in un bel fascicolo in cui spiega ai dipendenti le conseguenze di un accordo sul telelavoro siglato con il sindacato nell’agosto del 1995, afferma: "Telelavorare (...) significa più autonomia, ma sicuramente più responsabilità; meno tempo sprecato nel traffico, ma anche la ricerca (non sempre semplice) di un equilibrio fisico e psicologico tra vita domestica e attività professionale". Che per molte donne lavorare da casa non sia una liberazione lo dimostra il contratto nazionale di telelavoro approvato in Australia dall’Industrial Relations Commission nel maggio del 1994. Il documento recita: "teleworking is not a substitute for child care or any other form of dependant care". Quindi: non pensate di telelavorare da casa per curare meglio i vostri familiari. Di concorde avviso anche Telecom Italia, che nel citato libretto avverte: "il telelavoratore non potrà prendere impegni di carattere domestico o familiare durante le ore in cui è in servizio solo perchè <tanto sta a casa>" .

In conclusione vale ricordare che, dai molti studi e sperimentazioni condotti nel mondo, sono tre le cose che emergono con chiarezza:

  • La seconda è che la maggior parte delle persone che telelavorano lo fanno volentieri;
  • la terza è che quasi tutte le ricerche sul telelavoro dovrebbero essere guardate con circospezione, a meno che non sia possibile analizzare in dettaglio le domande rivolte al pubblico e i campioni utilizzati.
  •  

    Discussioni dalla Mailing List "Telelavoro"

    Domanda: Ho un dubbio: ma la diffusione della telematica, e il telelavoro con tutti i suoi indubbi vantaggi, non rischieranno di far perdere piu' posti di lavoro di quanti ne creeranno? (Marino Bocchi)

    Risposta: E' certamente un dubbio legittimo, ma personalmente ritengo che la possibilita' di decentrare i luoghi del lavoro vada vista come una risorsa, prima che come una minaccia. Probabilmente molti lavori cambieranno nel futuro anche senza applicare coscientemente pratiche di Telelavoro: se l'addetto al posizionamento del pezzo sotto la pressa perdera' il suo posto, non sara' perche' qualcuno lo fara' da casa, ma piu' probabilmente perche' un tecnico coordinera' degli automatismi da un ufficio centrale in azienda. Alcuni lavori rischiano meno di venire cambiati, altri si modificheranno radicalmente, ma la causa sara' l'applicazione delle telecomunicazioni anche all'interno dell'azienda stessa: sara' un passo successivo - e a mio parere ben lontano nel tempo - il permettere a quel tecnico di comandare una pressa da 5000 tonnellate mangiando un panino a Ospedaletti, tramite un notebook e un cellulare. In questo momento, pero', ritengo molto interessante l'impiego delle TLC per la creazione di nuove figure professionali: mentre il giornalista e il gestore di reti commerciali, il tecnico di assistenza clienti e il programmatore esistono gia', e con il TL cambiano solo il luogo dove lavorano, ma non il nocciolo duro di cio' che sanno e fanno, la possibilita' di non essere legati a un luogo definito permette gia' oggi la nascita di lavori nuovi, che alla fine bilanceranno - e' sempre stato cosi' - quelli che spariranno.

    Certo che per approfittare di questa rivoluzione occorrera' una certa elasticita', l'abbandono definitivo del concetto di lavoro fisso e sicuro per vent'anni, la capacita' di innovarsi e di motivarsi autonomamente; il giorno che tutte le case avranno sistemi di gestione degli interni computerizzati (qualcuno ha letto il libro di Bill Gates?) potrebbero nascere degli "arredatori software", che remotamente programmano e diffondono nelle case dei clienti particolari soluzioni per il funzionamento di TV, pannelli intelligenti, antenne paraboliche; gia' oggi lo spot della Bic in cui la biro sembrava un sottomarino e' stato realizzato da pubblicitari, grafici e copy completamente su Internet, e quindi "remotamente" per definizione. La Rete, infatti, o quello che ne nascera' negli anni, potrebbe fornire una base per applicazioni che gradatamente si spostano fuori dagli uffici dell'azienda: prima il PC, poi la LAN, poi Intranet e infine la delocalizzazione totale. E' impossibile prevedere oggi quali saranno gli sviluppi occupazionali di questa applicazione massiccia di TL, ma e' ragionevole supporre che, almeno per quanto riguarda gli impieghi "concettuali puri" (che per definizione non sono a numero chiuso, tanto che viene da ridere quando si sente dire che se questi tecnici anziani non vanno in pensione, i giovani non troveranno un lavoro), quando si faranno le somme si vedra' che - alla fine - ci saranno piu' posti di lavoro di prima.

    Altro e' dire che tutti quelli che lavorano oggi lavoreranno domani (la statistica del pollo...), ma questo e' solo uno degli aspetti che potremo verificare nel tempo: le riconversioni sono sempre dure e difficili, soprattutto per quanti hanno la convinzione che arrivati a una certa eta' non ci sia piu' niente da imparare. (Massimo Bocca)

    Fonte: Le FAQ di Telelavoro Italia, http://www.mclink.it/telelavoro/faq

     

    1. Aziende e telelavoro

    Perché le aziende sono restie a far telelavorare i propri dipendenti ? Vi è chi attribuisce le difficoltà alle tecnologie a disposizione, difficili da usare e ancora costose. Altri si concentrano sulla ancora imperante cultura industriale di stampo taylor-fordista - che attribuisce un valore enorme al tempo passato in ufficio più che al risultato del lavoro - e chi parla invece di resistenza dei quadri intermedi, che verrebbero a perdere il ruolo avuto sinora. In realtà la situazione sembra ancora più complessa.

    Da una parte vi è, senza dubbio, la questione della tecnostruttura interna. Una ricerca condotta di recente dall’Università La Sapienza di Roma su un campione di aziende laziali, ha confermato come la resistenze culturali dei quadri aziendali venga citato come un ostacolo serio dal 34,4 % dei manager. Ma questo non esaurisce il problema: il 25% degli intervistati cita anche le difficoltà tecniche tra gli ostacoli per attuare il telelavoro. Quasi il 30% delle imprese sono da considerare pre-tecnologiche: per svolgere il loro lavoro hanno a disposizione soltanto telefoni e fax. Circa il 39% ha almeno un computer, ma questo non è connesso in rete. In definitiva soltanto il 31% delle imprese ha al suo interno le tecnologie che permettono, oltre che il trattamento delle informazioni, anche la loro trasmissione e acquisizione dall’esterno. La cosa, d’altronde, non dovrebbe stupire eccessivamente un osservatore attento. In Italia Internet e le tecnologie dell’informazione sono tutt’altro che sviluppate. E questo nonostante che il tasso di crescita degli utenti della rete - almeno secondo le stime elaborate da Alchera, un istituto di ricerca specializzato - sia stato nell’ultimo semestre del 100%. La situazione della connettività italiana è tra le più arretrate nei paesi industrializzati, come mostra la tabella che segue, preparata a partire da un documento predisposto dal Ministero dell’Industria. Anche tenendo conto del recente presupposto incremento la percentuale di utenti Internet in Italia è di gran lunga la più bassa tra quelle dei maggiori partner europei. E non vi è dubbio che la scarsa cultura "di rete" costituisca un handicap gravissimo.

    Utilizzo delle tecnologie della comunicazione

     
    PC per 100 impiegati
    Telefoni fissi per 100 abitanti
    Telefoni mobili per 100 abitanti
    Utenze ISDN per 100 utenti telefonici
    Utenze Internet per 100 abitanti
    Italia
    26
    43
    6,76
    0,5
    1,26 *

    2,65 **

    Francia
    38
    55
    2,37
    1,6
    7,89
    Germania
    39
    55
    4,61
    3,9
    5,04
    Regno Unito
    45
    53
    9,35
    0,8
    6,86
    Europa
    41
    46
    5,16
    1,5
    4,3
    USA
    68
    n.d.
    n.d.
    n.d.
    13,96

    * dati Ministero Industria

    * * dati aggiornati su stime Alchera (Gennaio 1997)

     

    1. La nostra arretratezza tecnologica

    Le cause dell’arretratezza della penetrazione di Internet, spesso spiegate da osservatori sbrigativi appellandosi esclusivamente agli alti costi di accesso o con l’esistenza di un gestore monopolistico della rete telefonica fissa, andrebbe forse ripensata. Ai primi di aprile 1997, infatti, l’OCSE ha pubblicato l’annuale rapporto sulle telecomunicazioni. Secondo questo autorevole documento l’Italia si trova nel gruppo delle nazioni ove meno costoso è l’utilizzo di Internet (circa 54 dollari al mese per 20 ore mensili di collegamento negli orari di picco: in Gran Bretagna la stessa connettività costa 65 dollari e in Germania oltre 70). Pur facendo le debite proporzioni sui poteri di acquisto nelle diverse parti d’Europa, è evidente che dietro la mancata frequentazione in Italia di Internet vi sono dinamiche più complesse dei soli costi di accesso. Dobbiamo allora supporre che esistano varie cause convergenti che spiegano la relativa debolezza italiana su Internet:- L’irrazionalità tariffaria. Mentre un utente che risiede in una grande città sopporta costi relativamente bassi per collegarsi a un Internet provider chi risiede in un piccolo centro deve chiamare in interurbana, a costi tutt'altro che bassi. All’origine di questa situazione vi è, evidentemente, non solo la geografia frammentata della nostra rete telefonica, ma anche le tariffe della connettività CDN e CDA (le linee dedicate che i provider affittano da Telecom Italia). Ne discende che i punti di accesso alla rete sono di fatto appannaggio dei centri medio-grandi. Ciò è perlomeno singolare in una nazione ove i comuni sono oltre ottomila e in maggioranza piccoli;- La scarsa presenza delle aziende. La struttura produttiva italiana, composta in maggioranza di imprese sino a 10 dipendenti è estremamente flessibile - tanto da rappresentare secondo gli studiosi del MIT Priore e Sabel un modello per le altre nazioni - ma sottocapitalizzata e anche per questo poco propensa all’innovazione e agli investimenti in ricerca e formazione. Sono, come visto nel caso del Lazio, ancora una minoranza le imprese italiane che dispongono di reti interne di computer e che hanno queste reti collegate a Internet. Ne discende, per i lavoratori e i loro manager, una bassissima cultura orientata al networking e il mancato sfruttamento delle possibilità aperte da Internet e dal telelavoro;- La scarsa presenza della Pubblica Amministrazione. Nonostante siano in aumento i siti Web gestiti dalla P.A., essi appaiono spesso come una "vetrina" più che come un tentativo di inserire le strutture dipendenti in una logica di connettività diffusa. Eppure la pubblica amministrazione italiana costituisce una massa d’urto notevole nei confronti del sistema industriale. Oltre il 17% del mercato totale dell’Information Technology nazionale proviene da spese pubbliche. Ma da noi, a differenza che in altri Paesi, non esistono, se non in nuce, programmi organici di democrazia elettronica;- La questione formativa. Il cittadino, spesso sviato da un’informazione su Internet tesa alla spettacolarizzazione del singolo evento (si pensi al caso delle giovani senesi fuggite per una vacanza per le quali "si indagava su Internet" o agli articoli di apertura di stampa e telegiornali sul suicidio dei 39 adepti degli adoratori di extraterrestri, che si voleva collegato a Internet) ha un’idea tutt’altro che chiara di quali siano le reali potenzialità e l’uso che si può fare della Rete. Quando quel cittadino è anche un decisore pubblico, un educatore o un manager è evidente che la sua scarsa conoscenza si traduca in arretratezza di un intero sistema produttivo.

    7. Telelavoro e regole del gioco

    Per anni le aziende hanno messo ai primi posti tra le difficoltà di utilizzare il telelavoro le questioni normative e sindacali. Le lamentele più ascoltate sono state: "le leggi attuali non permettono il telelavoro", "i sindacati sono contrari". Vale la pena di ricordare, almeno schematicamente, che le fonti di regolazione del rapporto di lavoro, in Italia, sono quattro: a) la legislazione: in Italia, come del resto in Europa, non esiste alcuna legge sul telelavoro e la figura del telelavoratore deve in qualche modo essere ricondotta alle pre-esistenti figure giuridiche. b) i contratti collettivi, che regolano i rapporti di coloro che lavorano in una stessa azienda o in uno stesso settore produttivo. I contratti specifici di telelavoro in Italia sono attualmente una decina. c) una terza fonte di regolazione è rappresentata dalla giurisprudenza. Quando qualcuno, tipicamente un lavoratore dipendente, si rivolge al Pretore deninciando il comportamento di un’azienda, la causa si conclude con un giudizio, che entra a far parte di un vissuto giurisprudenziale e diviene, in qualche modo, norma. Nel telelavoro i casi legali noti sono pressochè assenti: forse i telelavoratori vanno d’accordo con i propri datori di lavoro.... d) esistono, infine, gli accordi individuali stipulati tra un datore di lavoro e un lavoratore per regolare i rapporti tra di loro. In Italia i contratti individuali sono diffusi per lo più tra i lavoratori autonomi e parasubordinati: il sindacato italiano ha scelto il contratto collettivo come strumento principale di intervento sul lavoro.

    7.1 Una legge per il telelavoro ?

    Il fatto che attualmente non esistano, almeno in Europa, leggi specifiche sul telelavoro, non vuol certo dire che esse non siano mai state proposte. Al contrario: nel Parlamento italiano giacciono almeno tre progetti. Il primo - presentato dai Comunisti unitari, tende ad incentivare il telelavoro - specialmente nelle aree depresse del Paese - tramite una politica di concessioni di finanziamenti a fronte di progetti di sviluppo del lavoro in rete e di alfabetizzazione informatica. La seconda proposta nasce da ambienti della Cgil e punta essenzialmente a regolamentare il telelavoro e i diritti minimi del soggetto che lo esercita, sia esso un lavoratore dipendente che un collaboratore dell’azienda. La terza, infine, dell’aprile di quest’anno, tenta una sintesi tra le due precedenti proposte prevedendo aspetti incentivanti e regolatori.

    Ma una buona legge sul telelavoro quali argomenti dovrebbe affrontare? La questione tanto dibattuta sino a un paio di anni fa, quella della definizione dello status del telelavoratore (è cioè un dipendente, un autonomo, un lavoratore coordinato, un imprenditore ?) pare destinata a sfumare. Se il telelavoro non è un mestiere in quanto tale, ma soltanto un modo diverso di svolgere una professione - sia essa nuova o tradizionale - il rapporto giuridico nei confronti dell’imprenditore diviene assolutamente marginale. Specialmente se esisterà, come pare, un nuovo Statuto dei Lavori, che ricomprenda e tuteli non soltanto il lavoro dipendente, ma il lavoro in tutte le sue forme.

    Cruciali sembrano invece altri aspetti. La salute e la sicurezza in primis. Chi lavora da casa o da un telecentro ha gli stessi diritti di fronte alle leggi che tutelano la salute come chi lavora in ufficio? E i problemi di sicurezza - per sè e per i suoi familiari - degli apparati informatici, chi li dovrà risolvere, lui stesso o il suo committente o datore di lavoro? Sono materie spinose perchè rientrano nell’area delle responsabilità delle aziende, ma anche nell’area delle responsabilità civili dei lavoratori. Un altro capitolo importante è quello legato ai diritti di informazione. Essere inseriti in un’azienda significa conoscerne le strategie, avere una sensazione precisa di quanto avverrà in futuro e del modo in cui questo futuro è progettato dal management. E questo vale anche per chi lavora fuori dell’azienda. Importante è anche la questione della riservatezza dei dati e della loro custodia. Pensiamo al caso di chi lavora in un telecentro ove vengono trattate informazioni di un’azienda in un altro continente. Questo capita realmente in Irlanda, ove molti telecottages operano per gli Stati Uniti: grazie al gioco dei fusi orari e alle affinità linguistiche, le corporation statunitensi sono riuscite a costruire l’impresa permanentemente attiva. Il problema della riservatezza dei dati è evidente. Chi deve curarsene ? Cosa succede se un computer non è abbastanza protetto da intrusioni esterne, di chi è la responsabilità? E, soprattutto, quale legge si applica? Quella del paese del telelavoratore o quella del paese ove ha sede l’azienda ? Poi c’è il problema dei trattamenti fiscali, dei trattamenti assicurativi e dei regolamenti comunali. Chi ha un appartamento di proprietà paga le tasse in ragione del fatto che ci abita; ma le cose cambiano se iniziate a telelavorare in quell’appartamento....

    Un caso speciale, infine, è quello della pubblica amministrazione. Il decreto legislativo 29 del 1993 impone a chi lavora in un ufficio pubblico il controllo dell’orario di lavoro; tale controllo, dice la legge, deve essere oggettivo, attuato quindi con strumenti marcatempo. E’ facile immaginare il perché di tale norma. Cosa succede se un impiegato pubblico telelavora? Non si reca - almeno non tutti i giorni - sul posto di lavoro, e quindi non è possibile controllarne oggettivamente la durata della prestazione. Non è un problema piccolo: il dirigente che omette quel controllo può avere una serie di dispiaceri. Ma non si era detto che nel telelavoro la prestazione non si misura più sul tempo passato in ufficio, bensì sul risultato del lavoro ?

    7.2 La contrattazione aziendale del telelavoro

    A dimostrazione che l’approccio dei sindacati - almeno di quelli italiani - al telelavoro non sia di bieca chiusura vi è la considerazione che tra il 1994 e il 1996 in Italia sono stati firmati un certo numero di contratti aziendali sul telelavoro, per lo più in imprese operanti nel settore delle Telecomunicazioni e dell’informatica (Saritel, Italtel, SEAT, Dun & Bradstreet, Telecom Italia, Digital). Si tratta di esperienze interessanti, ma al contempo limitate. I vari contratti, visti comparativamente, hanno dei sostanziali ed importanti punti di convergenza. Anzitutto nessuno di essi modifica lo stato giuridico dei lavoratori, che rimangono dipendenti a tutti gli effetti. Ne consegue che il nuovo luogo di lavoro - quasi sempre la casa dell’interessato - diviene, sotto il profilo funzionale-organizzativo, parte delle premises aziendali. Ciò da diritto ad avere apparecchiature, linee telefoniche, assistenza tecnica e assicurazioni varie dall’azienda e, molto spesso, anche un rimborso per quel pezzo di casa che viene "ceduta in uso" all’impresa o per il mancato utilizzo della mensa aziendale. Questo però, comporta anche la sostanziale cristallizzazione della questione: quali innovazioni normative richiede il telelavoro ? La durata della settimana lavorativa e la valutazione della prestazione rimangono, in quattro casi su sei, ancorati stabilmente ai contratti nazionali pensati per il lavoratore standard, quello che passa 38 o 40 ore in ufficio. Ma valgono alcuni distinguo: nel caso D&B, l’unico in cui questo aspetto viene affrontato apertamente, la soluzione adottata è l’introduzione di un cottimo telematico, seppur attenuato dalla fissazione di carichi di lavoro medi. Alla Digital, viceversa, le parti, dopo aver affermato nella premessa contrattuale che il telelavoro non è "soggetto alla distribuzione di orario secondo l’obbligo prestabilito" e, poco più in là, che l’attività è "organizzata e definita per progetti tendenti alla realizzazione di opere predeterminate", concludono che la struttura della retribuzione di chi telelavora non subirà modifiche rispetto a chi presta la sua opera nelle mura aziendali. In Telecom Italia nulla cambia per i telelavoratori: trattandosi di un lavoro di "presidio", tipicamente a bassa varianza, essi dovranno rimanere alla propria consolle nei giorni e nelle fasce orarie stabilite. I restanti contratti scelgono invece la strada della sibilla, quella di dire e non dire. Da una parte, infatti, riconfermano la supremazia dell’orario contrattuale, anche se distribuito in maniera personale (tanto che tutti escludono la possibilità di compensi aggiuntivi per il lavoro notturno e festivo e spesso escludono anche gli straordinari), mentre dall’altra impongono periodi di reperibilità limitati nel corso della giornata, quasi a suggerire la possibilità per il telelavoratore di "staccare la spina" quando si è raggiunto l’obiettivo definito anziché l’orario giornaliero prefissato nel contratto nazionali.Negli accordi aziendali sinora stipulati è completamente assente la trattazione degli aspetti più critici - a volte inquietanti - del telelavoro. In nessun accordo, ad esempio, si è affrontata la questione del lavoro mobile per il personale di vendita- una fattispecie assai sviluppata - in cui i rischi di superlavoro, con il dipendente in continuo pendolarismo tra cliente, azienda e casa, sono concreti ed alimentati dalla possibilità di incrementare o, in periodi di crisi almeno salvaguardare il salario variabile. Nessun accordo affronta sistematicamente la questione dei lavori semplici, quelli di presidio telefonico che si svolgono tipicamente nei call center, ove manodopera con bassi livelli professionali e di inquadramento svolge compiti di routine, magari 24 ore su 24 per sette giorni alla settimana. Un’aspetto ulteriore, anch'esso mai affrontato - sebbene introdotto nel protocollo nazionale degli elettrici - è quello dei nuovi assunti in telelavoro. Qui si aprono problemi di tutela e di diritti minimi assai diversi rispetto al caso sinora prevalente della trasformazione da lavoro standard a telelavoro. Chi viene assunto per lavorare fuori della sede tradizionale dell'azienda ha o meno il diritto di frequentare i locali aziendali ? Che possibilità ha di chiedere di terminare la sua esperienza esterna senza correre il rischio di perdere il lavoro? E cosa avviene se quell'assunto risiede in una nazione lontana migliaia di chilometri ? La contrattazione sul telelavoro, sinora, non si è spinta a regolare questi aspetti, se non altro perchè non se ne è ancora presentata l'occasione. Un ulteriore elemento debole dei contratti aziendali è la genericità con cui si affronta la questione dei diritti sindacali. Fatto salvo l’aspetto formale con enunciati di principio ("stessi diritti degli altri lavoratori") rimane aperta la questione del diritto sostanziale dei telelavoratori di essere informati, come chi sta in sede, delle vicende contrattuali. Solo un accordo, ad esempio, riconosce il tempo di spostamento necessario per partecipare ad un’assemblea come lavoro a tutti gli effetti. Un’ultima questione, forse la più spinosa, riguarda la volontarietà della scelta di telelavorare. Quasi tutti i contratti la prevede, ma in alcuni casi ci si trova di fronte a veri e propri enunciati di facciata: quando si chiude una sede, l’alternativa al telelavoro è spesso una traumatica mobilità territoriale.

    Molti dei contratti sinora siglati nelle aziende sono eminentemente difensivi. Le imprese non vedono nel telelavoro uno strumento per aumentare la flessibilità organizzativa, la produttività, la creatività, la motivazione dei dipendenti, ma solo un mezzo - magari da sperimentare per poterlo poi "rivendere ad altri" - per ridurre le spese chiudendo uffici periferici in modo quasi indolore . Questa visione minimalista rischia di sminuire un modello di lavoro che, se utilizzato in modo creativo, potrebbe costituire uno strumento per riconciliare le necessità collettive della produzione con le disponibilità individuali dei lavoratori, aumentando al contempo la flessibilità dell’impresa.

    1. I contratti nazionali

    Nel corso degli ultimi 12 mesi due importanti categorie hanno raggiunto un accordo nazionale che facilita le esperienze di telelavoro. Si tratta delle aziende delle TLC, e del settore del Commercio e Servizi. Il contratto delle aziende di telecomunicazione è stato siglato a settembre 1996 fra Intersind (in rappresentanza di Stet, Telecom Italia, Telecom Italia Mobile e Nuova Telespazio) e i sindacati confederali. Si tratta di uno dei primi accordi nazionali in cui al telelavoro viene dedicato un apposito capitolo. Il testo parte dalla considerazione che l'adozione delle nuove tecnologie e dei modelli organizzativi che ne discendono rende possibile un ampio ricorso al telelavoro nell’intero gruppo Stet. Operativamente le parti individuano tre differenti tipologie di telelavoro:

    - domiciliare, con la previsione di periodici rientri in azienda del lavoratore;

    -?working out, più comunemente conosciuto come lavoro mobile - una tipologia quindi particolarmente adatta a chi opera sul campo e ai venditori - per il quale il contratto ipotizza la sperimentazione di schemi nuovi di distribuzione giornaliera dell'orario di lavoro, purchè nell'ambito dei massimi definiti contrattualmente;

    -?telelavoro a distanza, in cui l’attività lavorativa viene svolta presso centri operativi lontani dalla sede aziendale cui fa capo l’attività stessa in termini gerarchici. Ciò apre la strada all’estensione della "remotizzazione" sperimentata al servizio 12 di Telecom Italia sin dall’agosto 1995, ma anche al lavoro da telecentri.

    Qualunque sia la tipologia adottata, il contratto chiarisce che il telelavoro non dà luogo ad un differente inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, e anche la connotazione giuridica del rapporto di impiego resta quella tradizionale della subordinazione. Le sperimentazioni che nasceranno dal contratto verranno concordate tra le parti, fissando attività e figure professionali interessate, modalità di realizzazione, garanzie professionali e sociali per i lavoratori coinvolti. Vengono infine enunciati due principi: da una parte che le ordinarie funzioni gerarchiche potranno essere espletate per via telematica e valutando il raggiungimento di obiettivi concordati; dall'altra che la riservatezza delle informazioni aziendali, anche in condizioni di lavoro domiciliare o mobile, dovrà essere assicurata dallo stesso lavoratore.

    La vera originalità di questo accordo sta pero' nella decisione di istituire una Commissione paritetica composta di 3 membri designati da Intersind e 3 di parte sindacale con compiti di monitoraggio, studio e proposizione di schemi giuridici innovativi per i telelavoratori.

    L’accordo firmato dalle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil con la Confcommercio il 20 giugno 1997 pare uno dei più completi sinora disponibili. Anche in questo caso sono previste tutte le possibili forme di telelavoro, inclusa quella hoteling, definita come "una postazione di telelavoro di riferimento in azienda per i lavoratori che per le loro mansioni svolgono la loro attività prevalentemente presso realtà esterne". Il lavoratore rimane un dipendente dell’azienda e la disciplina del telelavoro si ispira a sei principi fondamentali:

    1.??volontarietà delle parti;

    2.?possibilità di reversibilità del rapporto, trascorso un periodo di tempo da definire in caso di trasformazione, ferma restando la volontarietà delle parti;

    3.?pari opportunità rispetto a progressioni di carriera, iniziative formative ed altre occasioni che si determinano in azienda

    4.?definizione delle condizioni relative alla prestazione da espletarsi in regime di telelavoro, quali la predeterminazione dell'orario (parziale, totale o senza vincoli), nel rispetto dei limiti di legge e del contratto;

    5.?garanzia del mantenimento dello stesso impegno professionale ossia di analoghi livelli qualitativi e quantitativi dell'attività svolta nell'azienda, da parte del singolo lavoratore;

    6.?esplicitazione dei legami funzionali e gerarchici che vengono mantenuti e/o modificati rispetto a quanto esistente in azienda, ivi compresi i rientri nei locali aziendali.

    Di particolare interesse due aspetti: l’istituzione di una bacheca sindacale elettronica, che favorisce la partecipazione del telelavoratore e la questione dei diritti di informazione: "l'azienda - così recita l’art. 12 dell’accordo - è tenuta ad organizzare i propri flussi di comunicazione in modo da garantire una informazione rapida, efficace e completa a tutti i lavoratori per offrire pari condizioni a coloro i quali sono meno presenti in azienda".

    1. Il futuro del lavoro e del telelavoro

    L’intuizione - che come visto è degli anni Settanta - che i lavoratori d’ufficio possano lavorare da casa anzichè fare i pendolari è stata geniale, ma è ormai eccessivamente limitata. Le tecnologie informatiche e della comunicazione non rendono soltanto possibile concorrere alla produzione di un bene o un servizio a grande distanza da dove quel bene verrà realmente riprodotto o commercializzato; la grande innovazione cui ci troviamo ora difronte è la nascita di mestieri che possono essere svolti soltanto a distanza. Questo implica e stimola la nascita di nuovi servizi e nuove occasioni di lavoro. Nessuno può però garantire che questi nuovi lavori saranno appannaggio di una nazione anzichè dell’altra. Un esempio: la costruzione della Società dell’Informazione in Europa richiede una produzione crescente di software per l’ufficio o per controllare i processi industriali. Ma tutte le maggiori aziende del settore dispongono oggi di centri di sviluppo a Bangalore. Ciò significa che posti di lavoro che potevano nascere in Italia o in Germania sono stati invece creati in India. Questo è avvenuto non solo perchè lì il costo della manodopera è più basso: il motivo principale è che a Bangalore ingegneri e matematici locali sviluppano, con estrema rapidità, il software più affidabile del mondo. Ed è soltanto un esempio: molti nuovi lavori potranno essere svolti ovunque, facendosi beffe dei confini e delle regole dei singoli Paesi.Sino ad alcuni anni fa, quando un’azienda italiana investiva del proprio denaro in un nuovo progetto o in un nuovo business, questa azione generava posti di lavoro locali. Ora non è più così, o almeno non lo è in maniera automatica. Il lavoro può nascere ovunque vi siano le competenze migliori. Un esempio di questo è dato dai call centers per le prenotazioni alberghiere: anzichè averne uno in ogni paese, le grandi catene preferiscono centralizzare il servizio nella nazione più adatta e di lì fornire il servizio a continenti interi. Magari utilizzando le detenute di un carcere federale, come fa la Best Western negli Stati Uniti. Questo processo, di globalizzazione del mercato del lavoro, avanza contemporaneamente in tutto il mondo: un italiano può perdere il suo impiego perchè un indiano ne ottiene uno, ma un altro italiano può trovare un lavoro invece di un tedesco o un giapponese.La sfida della job creation è globale e anche la "caccia" al lavoro lo diventa. Non basta più essere ottimi professionisti: bisogna anche saper comunicare in lingue diverse, utilizzando le tecnologie più appropiate.Bisogna allora far uscire il telelavoro dagli ambiti angusti in cui è stato relegato, offrendo nuovi paradigmi centrati sulla struttura organizzativa dell’azienda, la democrazia economica, la cooperazione in rete di imprese e di lavoratori. Il solo termine telelavoro rischia di diviene angusto in una economia cablata, ove l’immaterialità del prodotto sopravanza quella del lavoro. Converrà quindi iniziare a ragionare, oltre che di telelavoro, anche di telecommercio (una forma avanzata di commercio elettronico) e di telecooperazione. Sono termini che oggi, agli albori della società dell’informazione conviene mantenere separati, se non altro per chiarezza. Ma che domani, a processo completato, confluiranno in un’altra dimensione, quella del lavoro in rete. Si compirà, in tal modo, la modifica post-industriale del lavoro: la sua redistribuzione, la sua localizzazione, la scelta dei tempi, il trattamento del prodotto dalla vendita all’assistenza, le interrelazioni virtuali e fisiche tra i diversi soggetti e professioni.


    Cos’e’ il Telelavoro ?Telelavorare significa lavorare a distanza usando le tecnologie dell'informazione e le reti di comunicazione. Il telelavoro non è soltanto lavorare da casa, ma include le attività svolte dai telecentri, il lavoro mobile e la creazione di aziende e uffici virtuali. Per gli imprenditori è un metodo per ridurre i costi, aumentare la flessibilità dell’azienda, migliorare i servizi ai clienti. Per gli individui aumenta le possibilità di impiego ed offre una scelta di metodi di lavoro e di moduli orari più flessibili ed adatti alle proprie esigenze. Per la società il telelavoro consente di portare nuove opportunità laddove più alta è la disoccupazione, riducendo il traffico, l’inquinamento, lo stress. Cos’è il Telecommercio ?E’ la gestione degli affari e delle vendite utilizzando le reti telematiche per ridurre i costi ed aumentare efficienza e competitività. Il telecommercio è adatto al piccolo artigiano e alla grande industria multinazionale, che riusciranno a penetrare meglio i mercati, siano essi locali o globali. Comprende il commercio elettronico, il teleshopping, il marketing on-line, l’erogazione di servizi pubblici ai cittadini on-line.Cos’è la Telecooperazione ?Telecooperare significa lavorare assieme in modo nuovo - gruppi di persone in azienda, nelle associazioni e nei partiti; cittadini e lavoratori nelle reti civiche - per offrire, grazie alle reti telematiche, nuovi servizi e fruire di nuovi diritti. Lavorare in rete significa friure dell’economia digitale e saper cogliere nuove opportunità

    Fonte: Progetto European Telework Development


    Di pari passo con le modifiche del lavoro vanno quelle dell’impresa. L’azienda nell’epoca di Internet è destinata a divenire una realtà molto diversa rispetto a quella che conosciamo oggi. All’impresa basata sul comando apodittico e la rigidità si è sostituita quella strutturata a rete. Poi - questa la novità di oggi - la rete diviene elastica, si espande e si comprime secondo le necessità e, così facendo, riesce ad agganciare opportunità nuove con una rapidità senza precedenti. Ciò comporta il superamento del fordismo, come sperano in molti, ma anche del paradigma toyotista. Il modello giapponese, come noto, tende a creare una rete, quanto più possibile stretta attorno a se’, di aziende fisicamente vicine. E’ una delle condizioni indispensabile per garantire il Total Quality Management. E’ per questo, ad esempio, che a Toyota City (ma anche alla Nissan inglese e in tante altre fabbriche nel mondo) le imprese subfornitrici sono nel "recinto" della fabbrica madre. La vicinanza è sinonimo di controllo, rispetto degli standard, di qualità.L’azienda nell’epoca di Internet, al contrario, diviene telereticolare, ottiene il dono dell’ubiquità e si virtualizza: utilizzando le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione crea una sua rete interna, che collega i lavoratori ovunque essi siano e, tramite la rete esterna, entra in rapporto intimo con le aziende fornitrici (le quali hanno, a loro volta, una loro rete interna) e con i clienti (che, a loro volta possono avere altre reti interne e esterne). Lo scambio di informazioni precede e pianifica quello delle merci e, in questo modo, viene prodotto quel che serve nel momento in cui ciò è necessario.

     

    9. Il dilemma formativo

    Attorno al 1700 qualcuno scoprì che il vapore generato scaldando l’acqua era utilizzabile per far muovere le turbine, i motori e vari tipi di ingranaggi. Quella scoperta, assieme alla disponibilità del carbone, un combustibile ben più efficiente dell’acqua o del legno, diede l’avvio alla rivoluzione industriale, che modificò profondamente, e ben prima di Taylor e di Ford, il modo di lavorare, che durava dal Medio Evo. Le conoscenze necessarie per lavorare nell’era pre-industriale erano rimaste uguali a se’ stesse per un tempo enorme: mille anni. Con la rivoluzione industriale quelle competenze, tramandate di padre in figlio, erano divenute di colpo obsolete. Nel secondo decennio del novecento il Sig. Henry Ford costruì a Detroit la prima catena di montaggio. Quell’innovazione cambiò di nuovo il modo di produrre e, per le maestranze, di lavorare. Tra il 1730 e il 1913 erano trascorsi meno di 200 anni e il lavoro aveva subito un’ulteriore rivoluzione. E con esso, di nuovo, le competenze necessarie a svolgerlo. Alla fine degli anni settanta alcuni giovanotti americani costruirono un computer tanto piccolo da chiamarlo "personale", mentre altri si davano da fare per renderlo utile per scrivere, archiviare dati, fare i calcoli, per gestire i budget aziendali. Tale innovazione ha di nuovo cambiato profondamente il modo in cui le persone lavorano e l’educazione minima necessaria per farlo. Dal 1913 al 1979 sono trascorsi meno di 80 anni. Nel 1997 il numero delle utenze Internet nel mondo ha raggiunto i 90 milioni, i giornali e le biblioteche sono in rete e il modem è ormai un accessorio normale del computer. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione si apprestano nuovamente a rivoluzionare il nostro modo di lavorare e nel 2005 la trasformazione sarà completa. Tra il 1979 e il 2005 intercorrono appena 26 anni. La prossima innovazione quando l’avremo? Nel 2020? Nel 2015 ? L’accelerazione della obsolescenza delle conoscenze comporta la necessità di ripensare completamente la propria formazione ogni 10 o 15 anni. E’ evidente che i vecchi paradigmi formativi sono superati: per lavorare, per essere inseriti nel circuito virtuoso delle società moderne, sarà indispensabile trovare meccanismi nuovi di educazione, passare frequentemente dal lavoro alla formazione e viceversa: se la velocità del cambiamento è altissima, anche quella di risposta dovrà esserlo. Sarà un’operazione molto costosa ma indispensabile: tra pochi anni il modo attuale di lavorare, con il computer sulla scrivania e i programmi per la produttività individuale, sarà scomparso, proprio come sono scomparsi gli amanuensi con l’invenzione della stampa, i linotypisti soppiantati dai sistemi informativi editoriali e stanno estinguendosi i pony express, sostituiti dai fax e dalla posta elettronica. Il nuovo umanesimo del lavoro viaggerà sulle reti di computer, ma per non affondarci dentro avremo bisogno di nuovi modelli di formazione, di molta autoistruzione e, soprattutto, del tempo da dedicare a queste attività.

    Il telelavoro - o come decideremo di chiamarlo in quell’epoca futura - ci verrà in aiuto e ci permetterà di resistere in un mondo della produzione che si reinventerà giorno dopo giorno.

    Bibliografia

    PER SAPERNE DI PIÙ SUL TELELAVORO E IL LAVORO IN RETE IN ITALIA:

    - Telelavoro Italia Web, http://www.mclink.it/telelavoro, un sito completamente in italiano. Contiene, all’indirizzo http://www.mclink.it/telelavoro/faq, una serie di interessanti FAQ (Frequently Asked Questions) su vari aspetti del telelavoro. Un ottimo punto di partenza per iniziare ad esplorare Internet.


    - Discussion List Telelavoro (presso listserv@fclub.bbs.comune.roma.it)

    Per iscriversi alla lista, frequentata da 400 esperti, telelavoratori, giornalisti e accademici inviare il messaggio di posta elettronica subscribe telelavoro all’indirizzo listserv@ fclub.bbs.comune.roma.it

    - News Group Telelavoro (presso news.comune.roma.it)

    - Progetto ETD (European Telework Development) ?Web all’indirizzo http://www.eto.org.uk

    ETD Italia http:// www.eto.org.uk/nat/it/

    ALTRI CONTATTI E URL

    Commissione Europea DGXIII/B, Comunicazioni Avanzate, Tecnologie e Servizi, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles, Belgio Tel: +32 2 2963460 Fax: +32 2 2962980.

    Http://www.dnai.com/~isdw. L’Institute for the Study of Distributed Work mette a disposizione molte ricerche sul telelavoro.

    http://www.echo.lu/teleforum/dg/13 - Il sito Web dell’European Teleforum.

    http://www2.echo.lu è un sito della Commissione Europea che fornisce informazioni dettagliate sul programma "Applicazioni telematiche".

    http://www.eclipse.co.uk/pens/bibby/telework.html è la home page del giornalista Andrew Bibby’s e contiene numerosi articoli sul telelavoro.

    Il rapporto Telefutures è disponibile online presso http://www.forbairt.ie/telefutures

    http://www.gilgordon.com - è il sito Web di Gil Gordon, una miniera di informazioni utili.

    Http://www.ispo.cec.be dà accesso a una listserv che offre informazioni sulle autostrade dell’informazione, sulla democrazia elettronica e sull’iniziativa società dell’informazione dell’UE.

    Http://www.eto.org.uk. Questo sito contiene informazioni sulla Settimana Europea del Telelavoro 1997 (3-10 Novembre 1997).

    Http://www.tca.org.uk è il sito web della Telecottages Association inglese.

     

    PERIODICI

    Nota: In Italia non esistono giornali o riviste dedicate al telelavoro, ma potrebbe forse essere utile di tanto in tanto consultarne qualcuna esistente all’estero.

    Flexible Working

    Per informazioni: The Eclipse Group, 18-20 Highbury Place, Londra, N5 1QP, Tel: 0171 354 5858

    Rif: ISSN 1360-9505.

    Caratteristiche: Periodico

    Telecommuting Review

    Direttore: Gil Gordon

    Per informazioni: Gil Gordon Associaties, 11 Donner Crt, Monmouth Jn, Tel: + 1 818 797 5482, Email: 74375.1667 @ compuserve.com

    Caratteristiche: pubblicazione periodica USA

    Teletravail

    Direttore: Alain Maurice

    Per informazioni: Sarl Teletravail, 14 Rue Yvonne le Tac, 75081 Parigi, Fax: +33 142522501, Email: 101572.527 @ compuserve.com

    Caratteristiche: rivista francese sul telelavoro

    Teleworker Magazine

    Direttore: Alan Denbigh Tel: 01453 834874 Fax: 01453 836174 Email: 100272.3137 @ compuserve.com

    Per informazioni: TCA Tel: 0800 616008 oppure +44 1203 696986 Fax: +44 123 696538

    Osservazioni : rivista bi-mensile per gli iscritti TCA

    PUBBLICAZIONI ITALIANE PIU’ RECENTI

    NOTIZIARIO DEL LAVORO, N.ri 75 e 81. Due speciali curati dall’Ufficio Studi relazioni industriali di Telecom Italia dedicati al telelavoro. Sono disponibili gratuitamente su Internet partendo dall’indirizzo http://www.mclink.it/telelavoro/ndlit

    IL TELELAVORO - Futuro dei giovani e delle imprese, di Pietro Predieri, Antonio Curti, Sandra Bonora, Edizioni la Mandragora, 1997

    PROGETTARE IL TELELAVORO. MANUALE PER L'UTILIZZO, a cura di Giampio Bracchi e Sergio Campodall'Orto, Milano, FrancoAngeli, 1997

    (Una bibliografia esaustiva è disponibile all’indirizzo Internet http://www.mclink.it/telelavoro/tw32.htm)

     

    PUBBLICAZIONI STRANIERE

    TeleFutures - a study on teleworking in Ireland Data: 1996

    Autori: Imogen Bertin e Gerald O’Neill

    Per informazioni: International Services, Forbairt, Wilton Park House, Wilton Place, Dublino 2 Tel: +353 1 660 2244 Contatto: International Services - Declan Murphy

    Teleworking - A Director’s Guide Data: 1996

    Autori: Vari

    Per informazioni: BT, IoD, Tel: Director Publications, 0171 730 6060

    Teleworking: Thirteen Journeys to the Future of Work Data: 1996

    Autore: Andrew Bibby

    Contatto: Turnaround Distribution, 27 Horsell Road, Londra N5 1X2 Tel: 0171 609 7836

    The Social Implications of Teleworking Data: 1996

    Per informazioni: The European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Loughlinstown House, Shankill, Co. Dublino Tel : +353 1 282 6888

    Caratteristiche: Una serie di tre fogli informativi sulla situazione legislativa in alcuni paesi europei 1) La situazione giuridica e contrattuale dei telelavoratori 2) La sicurezza sociale dei telelavoratori 3) Problemi di salute e sicurezza del telelavoro

    Europe and the Information Society Data: 1995

    Autori: Spikes Cavell & Co per conto della Comunità Europea

    Per informazioni: Spikes Cavell & Co, Benham Valence, Newbury, Berkshire, RG20 8LU, Regno Unito

    European Guide to Teleworking Data: 1995

    Per informazioni: The European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Loughlinstown House, Shankill, Co. Dublino Tel: +353 1 282 6888

    Caratteristiche: Una guida di carattere generale che si occupa di problemi sociali

    Teleworking Explained Data: 1993

    Autori: Mike Gray, Noel Hodson, Gil Gordon

    Per informazioni: John Wiley & Sons, Baffins Lane, Chichester Rif: ISBN 0 471 93975 7

    Caratteristiche: Guida al telelavoro di estrema chiarezza.

    Teleworking in Britain - A report to the Employment Dept Data: 1993

    Autore: Ursula Huws

    Per informazioni: Research Strategy Branch, Employment Dept, Moorfoot, Sheffield, S1 4PQ, Tel: 0171 273 6969. Rif: ISBN PP51/16304/494/52

    Caratteristiche: Minuziosa indagine a livello nazionale. Rif: Research Series No.18

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