Da "Lavori in corso", n. 9, Novembre 1997

La terza settimana europea del telelavoro. Ecco quali saranno i nuovi scenari di sviluppo del lavoro a distanza secondo il sociologo Patrizio Di Nicola, coordinatore nazionale per l'Italia del progetto European Telework Development.

 

L'IMPIEGO CORRE SUL FILO

 

Il lavoro a distanza è un fenomeno che negli ultimi anni sta indubbiamente prendendo sempre più piede. Attualmente, si calcola che circa l'1% della forza lavoro dei paesi dell'UE è interessata da questa forma innovativa di occupazione mentre in Nord America i "telelavoristi" sono ormai oltre 6 milioni: 5,5 negli Stati Uniti (4,54% della popolazione attiva) e mezzo milione in Canada (3,5%).

Nell'ambito del telelavoro, i progetti più innovativi a livello europeo sono stati realizzati da grandi gruppi privati quali la Digital in Olanda e in Italia, la Dell a Dublino e l'Ibm in Spagna. Ma ve ne sono molti altri che, beneficiando di mezzi finanziari meno importanti, stanno dando buoni risultati. La Mid Sweden University ha realizzato il progetto "Braintrain", un treno telematico in cui si sposano perfettamente necessità di spostamento e necessità di comunicazione. L'Austria propone il telecentro di Bruck an der Leitung. Situato in una piccola cittadina, il centro ha per obiettivo quello di favorire la qualità della vita mantenendo nel contempo i legami culturali in questa comunità. Il progetto "Western Isles" è nato invece nell'arcipelago delle Ebridi (nord della Scozia) e risponde ad un bisogno molto più immediato: lo spopolamento delle zona più discoste ed isolate. Anche le piccole imprese sembrano voler intraprendere questa via. Evitando perdite di tempo, affitti per gli spazi e costosi spostamenti, la Razao Final in Portogallo e la Wordwrights in Irlanda, sono ad esempio riuscite a ottimizzare i costi rimanendo concorrenziali sui mercati internazionali. Altri paesi invece hanno utilizzato le possibilità offerte dal lavoro a distanza per far fronte alla grave situazione occupazionale. Finlandia, Francia e Scozia hanno così reinserito professionalmente in strutture che si basano sul telelavoro un buon numero di disoccupati.

L'Italia, dal canto suo, pur situandosi agli ultimi ranghi della classifica europea (cfr tabella) con poco meno di centomila "lavoratori nomadi" si sta dando da fare per recuperare il tempo perso. Nell'ambito del programma "Roma Nexus", lo scorso 2 ottobre il Comune capitolino, in collaborazione con Telecom Italia, ha inaugurato nel quartiere dell'Eur un maxicentro pilota (4 miliardi di investimento) dotato di infrastrutture e di tecnologie d'avanguardia che dovrebbe spianare la strada per altri centri simili e proiettare definitivamente l'Italia nell'universo del lavoro a distanza. Abbiamo preso spunto da questo avvenimento per intrattenerci con Patrizio Di Nicola, sociologo e coordinatore nazionale del progetto European Telework Development finanziato dall'UE.

Quali sono gli scenari del telelavoro?
«Il telelavoro è destinato ad espandersi. Giocano a suo favore: l'aumento dell'uso di Internet, che contribuisce a creare nei lavoratori e nei datori di lavoro una "mentalità di rete"; la necessità di reagire velocemente agli stimoli del mercato, aumentando al contempo la produttività e riducendo i costi; la necessità, per i giovani, di "inventarsi il lavoro", che li porta a scoprire come sia conveniente iniziare nuove tele-attività senza fardelli costosi: l'ufficio in centro città, le scrivanie e le sedie firmate, ecc».

Per il telelavoratore, esistono le stesse possibilità di far carriera rispetto al collega in sede?
«Dipende dall'azienda. In quelle che attribuiscono più importanza alla presenza fisica in ufficio e al controllo formale del lavoratore (il cartellino da timbrare, i minuti da recuperare, ecc.) telelavorare è sicuramente un ostacolo alla carriera. Ma se l'azienda mette al primo posto la competenza e la produttività, il lavoro che si svolge, più che le ore passate in ufficio, allora il telelavoratore non ha nessuno svantaggio. Anzi, ha dei vantaggi, in quanto lavora meglio ed è più produttivo dei colleghi in sede».

L'obiettivo di creare in Europa 10 milioni di telelavoratori entro il 2000 è raggiungibile?
«Forse no. Tutto dipenderà dal ritmo in cui i managers rinunceranno alle loro culture "tayloriste". E anche dall'esistenza di un'idonea infrastruttura tecnologica e da una reale competizione (con conseguente riduzione dei costi) tra i diversi operatori telefonici. Ma se i telelavoratori passassero dai 2 milioni odierni a 6 milioni in soli tre anni potremmo davvero lamentarci? Il numero di 6 milioni è senza dubbio realistico...»

Ci saranno effettivamente nuovi posti di lavoro oppure un rimescolamento degli attuali livelli occupazionali? E quali saranno le ripercussioni sul tradizionale mercato del lavoro?
«Il discorso è lungo e difficile. Tutte le innovazioni tecnologiche hanno all'inizio fatto risparmiare lavori tradizionali e creato nuove figure professionali e nuove opportunità d'impiego. La grande innovazione cui ci troviamo ora di fronte è la nascita di mestieri che possono essere svolti soltanto a distanza. Questo implica e stimola la nascita di nuovi servizi e nuove occasioni di lavoro. Nessuno può però garantire che questi nuovi lavori saranno appannaggio di una nazione anziché dell'altra. Un esempio: la costruzione della Società dell'Informazione in Europa richiede una produzione crescente di software per l'ufficio o per controllare i processi industriali. Ma tutte le maggiori aziende del settore dispongono oggi di centri di sviluppo a Bangalore. Ciò significa che posti di lavoro che potevano nascere in Italia o in Germania sono stati invece creati in India. Questo è avvenuto non solo perché lì il costo della manodopera è più basso: il motivo principale è che a Bangalore ingegneri e matematici locali sviluppano, con estrema rapidità, il software più affidabile del mondo. Ed è soltanto un esempio: molti nuovi lavori potranno essere svolti ovunque, facendosi beffe dei confini e delle regole dei singoli Paesi. Sino ad alcuni anni fa, quando un'azienda italiana investiva del proprio denaro in un nuovo progetto o in un nuovo business, questa azione generava posti di lavoro locali. Ora non è più così, o almeno non lo è in maniera automatica. Il lavoro può nascere ovunque vi siano le competenze migliori. Un esempio di questo è dato dai call centers per le prenotazioni alberghiere: anziché averne uno in ogni paese, le grandi catene preferiscono centralizzare il servizio nella nazione più adatta e da lì fornire il servizio a continenti interi. Magari utilizzando le detenute di un carcere federale, come fa la Best Western negli Stati Uniti. Questo processo di globalizzazione del mercato del lavoro avanza contemporaneamente in tutto il mondo: un italiano può perdere il suo impiego perché un indiano ne ottiene uno, ma un altro italiano può trovare un lavoro invece di un tedesco o un giapponese. La sfida della job creation è globale e anche la "caccia" al lavoro lo diventa. Non basta più essere ottimi professionisti: bisogna anche saper comunicare in lingue diverse, utilizzando le tecnologie più appropriate».

Cosa sono, a quale utenza si rivolgono e come funzionano esattamente i telecentri?
«I telecottage e i telecentri possono essere definiti come delle strutture, indipendenti, pubbliche o di proprietà aziendale, dotate di strumenti informatici e di tecnologie della telecomunicazione, che nascono per rispondere ad esigenze specifiche di una comunità, un'azienda, un'area geografica. Oltre a svolgere un ruolo di sostegno al telelavoratore e alle piccole e medie imprese, il telecottage fa sì che una comunità locale possa accedere ai computer e alle telecomunicazioni con notevoli conseguenze in termini di servizi accessibili, che possono spaziare dalla teleformazione ai servizi informativi per le piccole e medie imprese. Con il termine "telecentro" si intendono però molte cose differenti e nella pratica gli esperti li dividono in Telecentri di sperimentazione, di sviluppo, ad orientamento locale, aziendali, business oriented e service oriented».

Il telelavoratore è un lupo solitario? Lavorando a distanza, non si corre il pericolo di emarginazione sociale e culturale?
«Solo se si pensa che al telelavoratore sia vietato mettere piede in ufficio. In realtà questo accade molto di rado: chi telelavora alternerà periodi a casa a periodi in azienda. Tutto dipende dal lavoro che dovrà svolgere. Inoltre per il telelavorista si creano occasioni di socialità che gli altri non hanno: può frequentare il suo quartiere, conoscerà i suoi vicini, starà più vicino alla famiglia e ai figli. Quindi come ogni forma di impiego anche questa ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi».

 

a cura di Paola Merico