LE RETI NEL LAVORO QUOTIDIANO

di Patrizio Di Nicola per il Sole 24 Ore, 1998

Coordinatore nazionale progetto ETD

(European Telework Development)

 

"Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione modificheranno profondamente il nostro modo di vivere e lavorare". "Internet entra nelle nostre vite e le riscrive". "Le reti aprono orizzonti nuovi all’essere umano". Sono soltanto alcune delle affermazioni che sentiamo ripetere spesso: non c’è convegno, esperto o pubblicazione che manchi di ricordarci, a volte con noncuranza, altre volte con pomposa enfasi, che siamo nell’era del post industriale telematico. I prodotti "evaporano", diventano soffici, il costo delle materie prime rappresenta solo una percentuale, e anche piccola, del prezzo di un prodotto. In un pacco di pasta il valore di quel che mangiamo è ormai soltanto il 18% del valore della scatola che troviamo sugli scaffali del supermercato: tutto il resto se ne va in design, pubblicità, comunicazione d’impresa, sitemi informativi. Il valore aggiunto dei prodotti industriali corre sulle corsie ondulate dei bit trasmessi via Internet sotto forma di pensiero, ricerca, sperimentazione. Con la rivoluzione industriale il luogo di fabbricazione di un bene era divenuto indipendente da quello di consumo. Con la rivoluzione telematica il lavoro diventa indipendente dal luogo fisico in cui un bene nasce. Con il telelavoro si può partecipare alla produzione di una Fiat (o di un altro bene qualsiasi) senza mettere piede in fabbrica. E magari senza neanche aver mai visitato l’Italia.

Uno studio della Commissione Europea del 1995 stimava che, nella penisola, vi sarebbero poco meno di 100.000 persone che telelavorano. Se però guardiamo ai casi più noti, di grandi aziende come Telecom Italia, IBM, Seat, scopriamo che i loro telelavoratori, in totale, non superano le poche migliaia. Dove sono tutti gli altri ? Il telelavoro non è certo un’appannaggio delle grandi imprese e i nuovi lavoratori si annidano principalmente nelle realtà piccole o piccolissime che costituiscono il tessuto vitale e a volte più innovativo del sistema produttivo italiano. Alla Logos di Modena, un’azienda di traduzioni, ad esempio, 20 dipendenti coordinano una rete di 1.200 telelavoratori sparsi nel mondo, tra New York e Pechino. Altri stanno seduti comodamente in un palazzetto antico a Castelnuovo nei Monti (RE), dove una "prima cittadina" preoccupata della diaspora che affligge tutti i centri rurali, ha aperto uno dei primi telecentri italiani. E altri ne seguiranno, a Bologna come a Roma, a Potenza come a Cerignola. Hanno un ufficio a distanza gli addetti piacentini della Caridata e se lo portano invece appresso, sotto forma di una "ventiquattrore" stracolma di tecnologie tantissimi professionisti, informatori medici, giornalisti, venditori.

Ma telelavorare non significa soltanto modificare la vecchia organizzazione aziendale, vuol dire anche e soprattutto inventarne di nuove. Nella rete nascono istituti di ricerca e associazioni non profit, cooperative di giovani e aziende virtuali che fanno della compensazione tra telematica e distanza la loro principale struttura organizzativa. Il Web è la loro vetrina sul mondo, l’email lo strumento principale di lavoro, Net Meeting la loro sala riunione. E riescono ad aggredire mercati nuovi e occasioni di business con una velocità che non ha pari. Quando dispongono di un idoneo supporto finanziario molte di queste imprese virtuali divengono una "fabbrica di miliardari". E’ al loro modello, molto probabilmente, che tutti dovranno ispirarsi per il futuro.