Telelavoro e New Economy.*
Patrizio Di Nicola, Consulente organizzativo,
è docente di e-Work presso il Link Campus dell'Università di Malta. Ha
coordinato il progetto European Telework
Development della Commissione Europea ed è autore dei volumi Il manuale del telelavoro (Ed. SEAM,
1997), Telelavoro tra legge e contratto
(Ediesse, 1998) e Il nuovo manuale del
telelavoro (Ed. SEAM, 1999).
1. Premessa
L'anno appena passato verrà ricordato dai posteri,
più che per il cambio di millennio (che peraltro secondo molti ancora deve
venire, tutto dipende da come consideriamo il 2000: inizio del nuovo secolo
oppure scorcio del vecchio?), per l'esplosione inaspettata, almeno in Italia,
della cosiddetta New Economy. Borse impazzite, che si accapigliano per la
conquista dei titoli "dot com" per poi gettarli nella polvere,
analisti finanziari che - completamente digiuni di internet sino al giorno
prima - debbono improvvisarsi grandi esperti, e arrancano cercando un criterio per stabilire il valore
delle cyberimprese; una fioritura di nuove aziende e la comparsa di capitalisti
"di ventura" che le finanziano; l'ampia offerta di corsi e master
post universitari che insegnano a "padroneggiare il cambiamento" o a
diventare imprenditori dell'economia cablata.
Di questa rivoluzione - che in Europa è arrivata
forse troppo tardi, almeno rispetto agli Stati Uniti - uno dei grandi soggetti
è il lavoro. Il lavoro cambia, si trasforma sotto il profilo giuridico e delle
tutele, si reinventa e si espande. Prima della rivoluzione della New Economy
chi parlava di telelavoro veniva visto come un inguaribile futurologo, oggi
rischia di trovarsi iscritto nella schiera dei conservatori. La stessa
Commissione Europea, che sin dal rapporto Bangemann del 1994 promuove il
telelavoro , si spinge oltre: ora parla di e-Work, ovvero lavoro che si svolge,
con nuove metodologie operative, sulle reti di comunicazioni. All'e-Work è
dedicata quest'anno la settimana di promozione che la Commissione dedicava al
telelavoro, nota come European Telework
Week, e che ora si chiama invece e-Work
2000. Sia che si parli di
telelavoro, di lavoro elettronico, di lavoro telematico o di lavoro in rete, le
nuove tecnologie e l'economia cablata globale aprono nuove prospettive d'impiego
e di ricchezza: basti pensare che i telelavoratori, nel nostro continente,
erano appena un milione nel 1994, e sono passati, in cinque anni, a oltre nove,
mostrando tassi di crescita a due cifre, ben oltre l'espansione
dell'occupazione complessiva.
Ma i nuovi modi di lavorare portano con se, è
inevitabile, anche alcuni rischi e problemi irrisolti, che è quindi bene
conoscere per chi si addentra nel mercato del lavoro.
FIGURA 1: I telelavoratori nel 1999 (valori assoluti
e percentuale sul totale degli occupati)
2. Cos'è il telelavoro
Sino a qualche anno fa gli esperti dibattevano con
ardore il problema definitorio, dovuto alle diverse accezioni date al
telelavoro. Vi era chi considerava telelavoro soltanto quello che si svolgeva
sempre da casa, purchè alle dipendenze di un'impresa. Altri aggiungevano che il
vero telelavoro era quello "online", in cui la workstation è
collegata stabilmente al computer
aziendale, relegando il lavoro "off line" alla sfera del lavoro a
domicilio anziché a quella del telelavoro. Con il passare del tempo hanno preso
piede definizioni più elastiche: si può parlare di telelavoro anche in assenza
di subordinazione (come nel caso dei giornalisti free lance) e non
necessariamente bisognava lavorare per la maggior parte del tempo fuori
dall'ufficio. Così, mentre nei primi
esperimenti e studi si faceva riferimento a un lavoro svolto interamente da
casa o da centri a distanza - i cosidetti telecentri - oggi si tiene conto
dell'estendersi di forme "miste" di telelavoro in cui il lavoratore,
grazie all'ausilio di strumenti telematici, è messo in condizione di svolgere
almeno una parte dell'attività da un
luogo diverso da quello in cui ha fisicamente sede l'azienda. In tal modo si è
raggiunta una definizione estensiva,
intendendo il telelavoro come un lavoro che può essere svolto:
a) da casa;
b) da un ufficio decentrato;
c) da un centro di telelavoro;
d) dalla propria auto o da un albergo durante un
viaggio di lavoro;
e) utilizzando tecnologie dell'informatica e delle
telematica;
f) non necessariamente per tutta la durata
dell'impegno lavorativo.
Con l'avvento della New Economy, come detto, le cose
si sono di nuovo rimescolate. Gli esperti si sono infatti accorti che, complice
sia la struttura "snella" delle aziende che nascono per produrre e
fornire servizi su Internet e per Internet, sia la dematerializzazione dei prodotti, il
lavoro in queste nuove imprese era quasi sempre telelavoro e, a volte, andava
anche al di là del telelavoro. E' il fenomeno, prima d'ora osservato soltanto
negli Stati Uniti, dell' "impresa virtuale": una coorte di persone e
mezzi produttivi tenuti insieme soltanto dall'esistenza di una rete aziendale
che opera come una Internet in miniatura, fornendo servizi e spazi operativi a
chi la popola.
A "bordo" dell'impresa telematica giunge
una nuova figura di lavoratore, il "networker": ufficio virtuale,
colleghi dispersi sul territorio, grande capacità di lavorare in team
telematici, oscillante tra il lavoro dipendente e quello autonomo. Insomma un
vero rompicapo per gli esperti e un problema per il diritto del lavoro, che
stenta a stare dietro a innovazioni così rapide.
Ma un fenomeno è sicuramente positivo: nella New
Economy, anche in Italia, nascono nuovi posti di lavoro. Secondo le stime di
Federcomin (aprile 2000), nell'ultimo triennio questo settore ha creato oltre
94.000 nuovi lavori. E forse sarebbero potuti essere di più se le aziende
avessero trovato le persone di cui avevano bisogno nel momento giusto.
Figura:
Occupati nella New Economy in Italia.
Fonte:
Federcomin/NetConsulting su dati ISTAT
3. Le opportunità
Lavorare
senza confini spaziali né temporali, come avviene nel telelavoro e nel lavoro
in rete, apre una finestra nuova sul mercato dell'impiego. Non conta più,
infatti, la località in cui si abita, né le limitazioni temporali di ciascuno e
in alcuni casi scompaiono anche, grazie alle tecnologie, le disabilità
lavorative delle persone. In questo senso un invalido di Palermo potrebbe avere
le stesse opportunità di un normodotato torinese. "Potrebbe": perché
questo avvenga davvero l'azienda che assume deve guardare alla sua forza lavoro
come un insieme coordinato di saperi che operano in rete verso uno scopo
comune. Quando questo avviene si lavora per obiettivi e conta poco essere
vicini o lontani. E' fondamentale sapere cosa l'azienda si aspetta da ogni
individuo, e i margini di discrezionalità di cui ognuno dispone. Purtroppo, ancora oggi, la maggioranza delle
aziende continua a ragionare come un esercito, a cui servono ampi
acquartieramenti (le sedi in cui lavorano migliaia di persone), una divisa
uguale per tutti (il colletto bianco degli impiegati, la tuta blu degli
operai), una gerarchia piramidale (le qualifiche e le categorie) e, infine, una
operatività a tempo fisso (l'orario 9-17).
Questo
modo di considerare l'azienda è destinato a scomparire, e già oggi mostra le
sue debolezze. Nata in un contesto del tutto diverso, quello della fabbrica
taylor-fordista centrata sulla produzione di massa di milioni di pezzi identici
("tutti potranno avere una Ford, purchè sia nera", affermava il
grande capitalista americano negli anni Venti), l'organizzazione industriale si
scontra con i paradigmi della Rete e aziende tradizionali con migliaia di
dipendenti difficilmente mantengono il ritmo segnato dalle piccole start up che
offrono servizi in rete. Soprattutto, oggi le imprese si trovano davanti
consumatori "liberati", che dispongono di più informazioni, maggiore
scelta, e possono trattare sul prezzo in modo tutt'altro che tradizionale. Un
caso da manuale è quello della casalinga americana che, volendo acquistare
un'auto ed avendo un solo concessionario in zona, ha pensato di mettere un
annuncio su internet; ha trovato altre cinquanta persone che desideravano
acquistare lo stesso modello e si è quindi rivolta direttamente alla casa
produttrice con un potere contrattuale ben differente. Oggi quel modo di
acquistare è diventato il cavallo di battaglia di molte nuove aziende, che
formano su internet enormi comunità di acquisto.
A
decretare il successo delle aziende sono oggi anche particolari che possono
sembrare privi di senso, come nel caso della Computer Literacy americana, una
libreria online che si è vista crescere il valore delle azioni del 30% quando
ha deciso di cambiare nome in "fatbrain.com", un indirizzo Web
decisamente più semplice da rammentare che non il precedente
"computerliteracy.com".
Ma
soprattutto la Web Economy si misura sul grado di innovazione che le persone
portano all'interno delle imprese. La vera ricchezza sta nel contributo di idee
di ciascuno. Che quanto detto non sia retorica sta a dimostrarlo un fatto che
ai più è passato inosservato. E.Biscom, la società quotata a marzo 2000 nel
nuovo mercato borsistico milanese, vale al momento in cui scriviamo circa 8500
milioni di Euro. Ebbene, una azienda di questo tipo, dieci anni fa, non sarebbe
mai arrivata in borsa, forse non sarebbe neanche nata. Leggiamo infatti sul
prospetto informativo predisposto dalla Consob al momento della quotazione che
"la società non ha ancora iniziato a generare utili né flussi di cassa
netti postivi"; inoltre "non è possibile garantire che in futuro la
società raggiunga la redditività"; perdipiù la crescita della società
dipende dalla effettiva richiesta di servizi di telecomunicazioni a larga banda
ma, nota la Consob, "non vi è alcuna certezza circa l'effettiva diffusione
degli stessi e circa la creazione di una domanda significativa". Insomma
E.Biscom sembrerebbe essere un pessimo affare; come spiegare allora che milioni
di investitori hanno fatto a gomitate per acquistarne le azioni ? La
spiegazione la fornisce la stessa Consob, quando afferma che il successo
dell'impresa "dipende in modo rilevante dalla presenza e dal ruolo di
Silvio Scaglia e Francesco Micheli", i due top manager della neonata
azienda. E, viene da aggiungere, dei 78
dipendenti ai quali è affidato il compito di portare avanti un business
innovativo, il cablaggio in fibra ottica di Milano. Una intrapresa già tentata
da Telecom Italia (all'epoca un colosso con 130 mila addetti e un esercito di
1200 dirigenti) alcuni anni fa e finita in una bolla di sapone, con i tubi blu
che fanno capolino, tristi e smangiucchiati dai ratti, in molte grandi città.
4. La formazione, risorsa e
pena della New Economy
Naturalmente
per lavorare sfruttando le opportunità della New Economy non bisogna essere
necessariamente top manager, ma buoni manager di sé stessi sicuramente si.
La cosa più importante da imparare ad amministrare
sono le proprie competenze. I
paesi che sono entrati per primi nella New Economy hanno capito che il
personale di cui hanno bisogno deve anzitutto avere profonda conoscenza delle
tecnologie dell’informazione e, se non anglosassoni, una piena padronanza della
lingua inglese. Negli Usa, ad esempio, solo il 10% delle imprese attribuisce un
valore fondamentale alla laurea per i nuovi assunti, mentre una su due cerca
personale con competenze informatiche e telematiche: le stesse, quindi,
indispensabili anche per i telelavoratori.
In Italia stiamo scoprendo questa realtà soltanto oggi….
Fonte:
Batwich Group, 1999
Il giovane neolaureato o neodiplomato di oggi deve
sapere che le sue conoscenze invecchiano con estrema rapidità. Il lavoro nell’era pre-industriale
era rimasto uguale a se’ stesso per un tempo enorme: mille anni. Poi, attorno
al 1730, qualcuno scoprì che il vapore generato scaldando l’acqua era
utilizzabile per far muovere le turbine, i motori e vari tipi di ingranaggi.
Quella scoperta, assieme alla disponibilità del carbone, un combustibile ben
più efficiente dell’acqua o del legno,
diede l’avvio alla rivoluzione industriale, che modificò profondamente
il modo di lavorare, che durava dal Medio Evo. Con la rivoluzione industriale
quelle competenze, tramandate di padre in figlio, erano divenute di colpo
obsolete. Una seconda novità si ebbe
nel secondo decennio del novecento ad opera del Sig. Henry Ford, che costruì a
Detroit la prima catena di montaggio. Quell’innovazione cambiò di nuovo il modo
di produrre e, per le maestranze, di lavorare. Tra il 1730 e il 1913 erano
trascorsi meno di 200 anni e il lavoro
aveva subito un’ulteriore rivoluzione. E con esso, di nuovo, le competenze
necessarie a svolgerlo. Alla fine degli
anni settanta alcuni giovanotti americani costruirono un computer tanto piccolo
da chiamarlo “personale”, mentre altri si davano da fare per renderlo utile per
scrivere, archiviare dati, fare i calcoli, per gestire i budget aziendali. Tale
innovazione ha di nuovo cambiato il modo in cui le persone lavorano e
l’educazione minima necessaria per farlo. Dal 1913 al 1979 sono trascorsi meno
di 80 anni. Nel 2000 il numero delle utenze Internet nel mondo ha raggiunto i
300 milioni, i giornali e le biblioteche sono in rete e il modem è ormai un
accessorio normale del computer. Le tecnologie dell’informazione e della
comunicazione stanno nuovamente rivoluzionando il nostro modo di lavorare e nel
2003 la trasformazione sarà completa. L’accelerazione della obsolescenza delle
conoscenze comporta, in definitiva, la necessità di ripensare completamente la
propria formazione ogni 10 o 5 anni.
Le conoscenze formali vanno quindi rinnovate di
frequente - e per nostra fortuna la Rete ci assiste, offrendo migliaia di
occasioni di approfondimento e aggiornamento - ma anche le competenze implicite
e sociali vanno ripensate. Un esempio: abbiamo visto che molte aziende operano
oggi come imprese virtuali. Ai dipendenti sono richieste nuove capacità, come
quella di partecipare o condurre riunioni a distanza, l'abilità di integrarsi
in team di lavoro dispersi sul territorio che comunicano principalmente tramite
email, l'amministrazione del tempo di lavoro e di non lavoro - cosa sempre più
difficile quando l'attività si svolge in parte in ufficio e in parte a casa.
Questi skills non si apprendono certo a scuola, che è organizzata secondo il
paradigma della fabbrica, in cui si entra e si esce al suono della campana
(nelle fabbriche si usava la sirena, ma la differenza è solo nei decibel); si
sta, senza la minima privacy, in trenta in un'aula (qualcuno sicuramente vedrà
le attinenze con gli uffici modello "open space") e la comunicazione
intra-gruppo è eminentemente verbale. Quindi queste cose nuove vanno apprese in
altro modo, con corsi ad hoc (una raccomandazione, sceglieteli bene: gli enti
di formazione che fanno corsi buoni solo per i loro bilanci abbondano) e
soprattutto con molta auto istruzione sul campo.
5.
I rischi
Non è tutto oro quel che luccica, e questo è vero
anche nella New Economy e nelle forme di lavoro ad essa associate.
Il primo rischio da evitare è di cadere nella
spirale della "schiavitù della Rete". L'allarme è stato lanciato da
due giornalisti americani, Bill Lessard e Steve Baldwin, che hanno pubblicato
da poco il libro Netslaves. True tales of working the
web. Indagando dietro le facciate luminose dei siti web,
hanno scoperto l'esistenza di un esercito di persone che collaborano alla
realizzazione e alla gestione di siti e portali dall'incerto futuro, lavorando
80 ore alla settimana e durante i week end senza pensione né coperture
previdenziali, con la quasi certezza di ritrovarsi disoccupate, in caso di
difficoltà dell'azienda, nel giro di 24 ore. Secondo gli autori, in USA i
netslaves sono circa quattro milioni, e svolgono i lavori più diversi: si va
dai cyberpoliziotti, che alle dipendenze dei grandi internet service provider
bonificano i network andando a caccia di siti pornografici, osceni, blasfemi e,
naturalmente, di hackers, sino agli animatori di chat line, il cui guadagno è
proporzionale al numero dei frequentatori dell'area di discussione (ma questo e'
anche proporzionale al tempo che l'animatore passa online, e quindi
all'aumentare dello stipendio aumenta sia il lavoro sia le spese di
collegamento).
Ai netslaves è dedicato anche un sito web
(www.netslaves.com) che, oltre a storie di vita di molti disgraziati, offre ai
lettori un "Manuale di combattimento dei nuovi media" che spiega come
evitare di diventare forzati del web.
Un secondo rischio per i lavoratori nella new
economy è di essere eccessivamente flessibili: cambiare lavoro spesso, ma non sempre
ottenendo un miglioramento della propria condizione globale (economica, di
status, ecc.). L'esperienza americana mostra che, tra il 1989 e il 1998, i
lavori ben pagati sono cresciuti del 20%, ma i lavori sottopagati sono
cresciuti anch'essi, seppur in misura minore (+10%), mentre tra il 1980 e il
1996 il reddito a disposizione delle famiglie è aumentato del 58% per il grupp
dei più agiati (il 5% del totale), ma solo del 4% per quel 60% che si trovava
sin da prima ai livelli più bassi di reddito. Insomma, chi è ricco lo diventa
sempre di più, chi è povero scende, almeno in termini comparativi, sempre più
in basso. (Robert D.
Atkinson and Randolph H. Court, The New Economy Index: Understanding America’s Economic Transformation, Progressive Policy Institute, November 1998).
Un terzo rischio
consiste nel pensare che il telelavoro sia un "modo facile per fare
quattrini". Su Internet, e non solo in Italia, circolano offerte di
guadagni strabilianti per chi si iscrive a "club di cliccatori", di
"navigatori" o di lettori di email. In cosa consistono queste
meraviglie ? Anzitutto bisogna iscriversi al servizio, lasciando i propri
preziosissimi[1] dati
personali, poi bisogna (a seconda dei casi) collegarsi tramite un provider e
navigare per ore, visitando i siti reclamizzati oppure leggere email che
reclamizzano prodotti di ogni tipo. Ogni mese il sistema accredita all'iscritto
un importo, che dipende dal tempo passato in linea dall'iscritto. Il quale, per
incrementare i propri guadagni, può tentare di convincere altri ad iscriversi,
ottenendo una piccola percentuale anche dei loro guadagni. Alcuni di questi
servizi sono senz'altro seri, anche se, alla fine, fanno guadagnare pochissimi
dollari l'anno, mentre altri sono delle vere e proprie "catene di S.
Antonio" telematiche, da evitare accuratamente. Il sito European Telework
Online, uno dei più autorevoli in materia, ha approfondito il fenomeno e mette
a disposizione, all'indirizzo http://www.eto.org.uk/faq/gpts.htm
un elenco aggiornatissimo di link a tali servizi e, per ciascuno di essi, le
testimonianze di chi l'ha provato.
Per concludere , va detto che il telelavoro, specialmente se svolto da casa propria, non è adatto per alcune persone. Ad esempio coloro che hanno scarsa motivazione personale e poco spirito d'iniziativa possono sentire la necessita' di un orario di lavoro ben delimitato e di un ambiente di ufficio supervisionato da un capo. C'e' anche chi pensa che i giovani che entrano nel lavoro per la prima volta possano trarre giovamento dal lavorare in un gruppo di lavoro tradizionale, almeno nei loro primi anni lavorativi. Per molte persone, "andare a lavorare" e' una parte importante della vita, ed il "posto di lavoro" e' quel luogo ove fare amicizia e sviluppare il proprio profilo sociale e i contatti personali. Inoltre molte case non sono adatte per certi tipi di telelavoro: anche gli individui piu' motivati potrebbero avere problemi a svolgere compiti che richiedono molta concentrazione in un piccolo appartamento con i figli tra i piedi e i vicini rumorosi dall'altro lato di un muro inconsistente. Un programma finalizzato alla costruzione di "centri di telelavoro" in questi casi potrebbe rivelarsi piu' appropriato del telelavoro domiciliare.
Naturalmente nessuna di queste considerazioni e'
necessariamente una barriera per il telelavoro, ma esse dimostrano come sia
importante "preparare il terreno" al lavoro nella New Economy: se
facciamo fare a qualcuno il telelavoratore nella maniera sbagliata, per fare un
lavoro al quale non e' adatto, o in condizioni critiche, ci dobbiamo aspettare
molti problemi. Troppo spesso, il risultato e' l'opinione che "il
telelavoro non funziona", o che "il telelavoro non fa per noi".
La verita' invece e' che il telelavoro non si inventa da un giorno all'altro e
questo strumento va utilizzato per quello che
davvero è: un'opportunità che deve portare benefici a tutte le parti in
causa, tanto all'impresa quanto al lavoratore. L'occasione è storica, e oggi
possiamo avvicinare il lavoro alle persone (mentre storicamente è avvenuto il
contrario), valorizzare in misura adeguata le risorse umane, offrire agli
individui nuove prospettive d'impiego e di fruizione del tempo libero.
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BOX
i Benefici del Telelavoro:
Il Telelavoro offre vantaggi significativi ad impiegati, datori di lavoro, lavoratori autonomi ed imprenditori, ed anche nello sviluppo dell'economia locale.
Benefici per i datori di lavoro
Risparmio dei costi
Incremento di produttivita'
Miglioramento della motivazione dei lavoratori
Capacita' di trattenere profili professionali
Organizzazione flessibile
Flessibilita' degli organici
Capacita' di recupero da calamità esterne e interruzioni dei trasporti
Migliore assistenza alla clientela
Benefici per i singoli lavoratori
Tempi e costi di viaggio ridotti
Incremento delle opportunita' di lavoro
Minore sconvolgimento della vita familiare in caso di trasferimento dell'azienda
Miglior equilibrio tra lavoro e vita familiare
Partecipazione alla vita della comunita' locale
Orario flessibile
Benefici sociali ed economici
Congestione del traffico ridotta
Tempi di viaggio totali ridotti e conseguente riduzione dell'inquinamento
Piu' ampie opportunita' di impiego e di lavoro
Accesso al lavoro per persone con difficolta' specifiche
Rinascita economica di aree scarsamente industrializzate o de-industrializzate