Web e oltre: la comunicazione dei sindacato ai tempi di Internet

Di Patrizio Di Nicola, 14/7/2013

 

 

Lo sviluppo di Internet ha posto una nuova sfida ai sindacati, che si trovano nella condizione di doversi adeguare agli standard tecnologici raggiunti dalle altre organizzazioni e di integrare e spesso reinventare le proprie attività di comunicazione sul Web, perseguendo un cambiamento che è soprattutto culturale. Lo scenario di utilizzo delle ICT da parte del sindacato è ancora confuso: se ormai quasi tutte le strutture hanno dei propri siti, più o meno professionalmente realizzati ma tutto sommato che assolvono alla necessità di comunicare i propri contenuti, molto più nebulosa è la situazione nei Social Network. Su Twitter, ad esempio, la sola CGIL è presente con oltre 120 utenze di organizzazione (intestate quindi alla CGIL nazionale, regionale o locale, con tanto di logo), anche se alcuni di questi sono praticamente inattivi. A questi si sommano le pagine dei singoli dirigenti, che sono accorsi a centinaia sul sistema di microblog, anche se in larga maggioranza più perché interessati a seguire e commentare le discussioni in corso che non per stimolarne di nuove.

Lo stesso, in dimensioni amplificate, vale per Facebook, dove venti milioni di italiani sono presenti, e ovviamente anche la presenza sindacale è massiccia, anche se per forza di cose caotica. D’altronde non potrebbe essere diversamente: in Italia la riflessione intorno al rapporto tra Internet e sindacato è ancora in una fase embrionale, mentre ad esempio in Gran Bretagna si è cominciato a parlare di e-unions già nel 2000, suggerendo, anche in maniera radicale, che i sindacati dovevano « trasformarsi rapidamente in e-unions», per «fornire ai propri iscritti informazioni e servizi personalizzati in tempo reale grazie al supporto delle tecnologie digitali»[1].  La forma sindacale che secondo gli studiosi anglosassoni emerge da Internet è Open Source[2]:  fa un uso esclusivo di internet per erogare informazioni agli iscritti, ma anche per connettere tra di loro attivisti e delegati di aziende diverse e per fornire ai lavoratori servizi che vanno al di là di quelli legati alla contrattazione collettiva d’impresa. Il sindacato OS, quindi, crea una comunità virtuale tra sindacalisti e lavoratori, anche di aziende ove non esiste una rappresentanza organizzata o per figure professionali individualizzate, come i telelavoratori, i professionisti, ecc. Tali sindacati, proprio come quelli che operano away from keyboard, quindi fuori della rete, fanno campagne di tesseramento, hanno propri leader e militanti, portano avanti lotte e rivendicazioni. Per i teorici del sindacalismo in Rete, l’uso di Internet non è inteso come mero affiancamento di un nuovo canale di comunicazione a quelli sinora utilizzati, ma diventa innovazione radicale di un modo tradizionale di essere sindacato. In tal senso Internet è la base di una dimensione associativa nuova, ove opera una rete sociale di interessi e iniziative, finalizzato a espandere la copertura sindacale e a fornire servizi agli iscritti vecchi e nuovi. Si tratta di teorie forse estreme, in quanto danno per scontato l’inutilità dell’azione sindacale in azienda, e soprattutto perché dimenticano che i messaggi di protesta, siano essi contro la precarietà o quelli degli Indignados, diventano virali non per il medium che li trasmette (Internet), ma perché i contenuti delle proteste e delle lotte sono in sintonia con l’esperienza personale  di milioni di individui[3]. E non è un caso che, dalla comunicazione in Rete, nascano poi movimenti che occupano fisicamente piazze, parchi pubblici e altri luoghi per far risaltare e dare evidenza alla protesta. In fin dei conti, è quello che il ha fatto sin dalla seconda metà dell’Ottocento.

 

Come ricorda Accornero, l’era del «Lavoro» ha ceduto il passo all’epoca dei «lavori»[4]: i lavoratori sono tanti, le professioni si sono moltiplicate ed ognuna dialoga e comunica con propri linguaggi e strumenti. I lavoratori, specie quelli più giovani (e che meno degli anziani si iscrivono al sindacato) sono già parte di comunità in rete: sono nei social network; fruiscono,  auto producono e diffondono materiali video; vivono una vita con la tastiera accanto a quella senza la tastiera. Un sindacato che voglia comunicare con questi lavoratori non può pensare che tutti accorreranno a lui, magari al momento dell’ingresso stabile in azienda o in un ufficio pubblico dopo anni di lavori precari. Oggi bisogna invece andare a cercare i lavoratori nei contesti reali in cui essi operano. In un mercato del lavoro frammentato è indispensabile creare una rete di rappresentanza che connetta molti più punti rispetto a quelli che oggi sono possibili nel mondo reale.

La questione dei nuovi media quindi, è semplice: in primo luogo bisogna passare da una cultura sindacale fondata sulla comunicazione face-to-face ad una in cui Internet costituisce un canale fondamentale di interazione. La consapevolezza delle opportunità offerte dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione è giunta in Italia con un notevole ritardo nei contesti sindacali, che si trovano a dover fare i conti da una parte con cambiamenti sociali già avvenuti, e dall’altra con il fatto che quasi un italiano su tre non ha mai usato Internet. In secondo luogo va preso atto che il problema della comunicazione sindacale in rete non è di progettare spazi web belli e luccicanti; il problema è organizzativo. Quindi, se il modello di funzionamento del sindacato è piramidale, la comunicazione viaggerà soprattutto dall’alto in basso, e anche le logiche dell’uso di Internet seguiranno tale flusso. Sul Web quel che appare è quel che si è davvero. E i Social Network aggravano la situazione: lì l’interazione deve essere immediata, i commenti rapidi, le contestazioni frequenti. Tutte cose che scardinano le logiche top-down.

L’asse del ragionamento va pertanto rovesciato rispetto a quanto si fa abitualmente: bisogna partire dal ripensamento dell’organizzazione e della rappresentanza per arrivare all’interazione in rete. E’ l’unico meccanismo che funziona, tutte le altre strade portano a vicoli chiusi. Tanto più se si vogliono includere e rappresentare le istanze che i nuovi soggetti sociali  portano nella società. Lasciare a sé stessi milioni di giovani e donne che il mercato ha flessibilizzato e precarizzato, oppure i nuovi professionisti che operano tra le imprese anziché nelle imprese, e per i quali la politica non ha ritenuto utile creare un seppur minimo sistema di welfare  è, come sempre, una questione di progresso sociale che  il sindacato non può ignorare.  Non c’e’ nulla di nuovo nell’essere rappresentativi del lavoro: è solo il mestiere del sindacato.

 

 

 



[1] R. Darlington, «The Creation of the E-Union: the Use of ICT by British Unions», Paper, Internet Economy Conference, Centre for Economic Performance, London School of Economics, 7 November 2000.

[2] R. B. Freeman, “The advent of Opens Source Unionism?”, in Critical Perspectives on International Business,  Vol.1, No.2/3, 2005, pp.79-92

[3] M. Castells, Reti di indignazione e speranza. Movimenti sociali nell’era di internet, Bocconi Editore, Milano, 2012

[4] Accornero A., “Dal fordismo al post-fordismo: il lavoro e i lavori”, in Quaderni di Rassegna Sindacale, n. 1 gennaio–aprile 2001