Le retribuzioni dei Top Executive.

Di Patrizio Di Nicola

 

1.

Da oltre dieci anni, in tutti i paesi industrializzati, viene perseguita,a torto o a ragione,  una politica di moderazione salariale. Nato dall’esigenza di tenere bassa l’inflazione, il contenimento delle spinte retributive ha trovato giustificazione nella convinzione che gli aumenti in busta paga, se non legati all’incremento di produttività, non avrebbero creato benessere duraturo né per le imprese né per i lavoratori. Così, sia adottando le politiche centralizzate di predeterminazione dei tassi di inflazione, sia tramite operazioni sulla retribuzione oraria minima, ovvero grazie alla contrattazione locale, tutti i Paesi sviluppati hanno compresso gli aumenti retributivi.

 

 

La tabella 1 che segue, prodotta a partire da dati OCSE, illustra abbastanza bene la situazione anzidetta.


Tabella 1: Retribuzioni annuali nel mondo, in dollari, a prezzi costanti 2010

 

Anni

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

Country

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Australia

 

38258

37917

38068

38666

40002

40749

42005

42563

42313

41856

42550

Austria

 

37927

37841

39437

39801

39460

39510

40104

40281

40718

41904

42005

Belgium

 

41585

42052

42770

42927

42741

42494

42684

42647

42811

43561

43023

Canada

 

35698

35802

35355

35415

36343

37852

38906

39975

40497

41517

41961

Czech Republic

 

14178

14775

15595

17060

17419

18150

18973

19628

20075

20424

20587

Denmark

 

37010

37047

37945

38847

39982

40689

41389

42148

42390

42904

43190

Estonia

 

10168

10490

11082

12155

13303

14267

15524

17975

18019

17532

17145

Finland

 

29140

29831

29896

31124

32157

32988

33617

34181

34634

35319

35707

France

 

34194

34369

35208

35398

36058

36556

37027

37229

37027

37807

38124

Germany

 

37695

37903

38126

38194

38103

38089

38172

38122

38322

38251

38325

Greece

 

24261

24304

26373

27183

27635

27962

27505

27893

28200

29482

27484

Hungary

 

13655

14843

16418

17662

18867

19396

19749

19802

20121

19161

18667

Ireland

 

38765

39679

39526

40340

41755

43597

44268

44787

45290

48217

48757

Italy

 

31920

32073

31671

31471

32073

32362

32410

32408

32404

32406

32657

Japan

 

33133

33210

32817

32987

33032

33677

33806

33439

33421

33219

33900

Korea

 

26870

27578

28356

29443

30104

30901

31352

31898

31741

31733

33221

Luxembourg

 

47607

48344

49421

49281

49618

50248

50402

51362

51426

52171

52110

Netherlands

 

41541

41748

41901

42220

42881

42763

42863

43689

44440

45832

45671

Norway

 

33551

34391

35686

36707

38070

39149

40506

42259

43035

43382

44164

Poland

 

16197

17230

17090

17381

17131

17036

17121

17480

18172

18228

18380

Portugal

 

21307

21405

21489

21563

21497

21561

21244

21530

21722

23237

23173

Slovak Republic

 

13247

13257

13937

14306

14588

15589

16114

17058

16976

18031

18719

Slovenia

 

..

..

26203

26779

28147

29112

30027

30723

31257

31744

32308

Spain

 

31720

31620

31714

31634

31244

31411

31336

31634

32454

33908

33656

Sweden

 

31828

32046

32321

32697

33585

34242

35062

36223

36580

36766

36826

Switzerland

 

45276

47287

47318

47511

46741

47706

48033

48670

48811

50155

49810

United Kingdom

 

40541

41731

42257

43052

43637

43474

44091

45207

44419

44899

44008

United States

 

49981

50287

50244

50477

51094

51242

51984

52724

52242

52256

52607

data extracted on 06 Nov 2011 23:10 UTC (GMT) from OECD.Stat


 

Qualcosa, però, non ha funzionato: la teoria economica liberista non prevedeva che i lavoratori si sarebbero impoveriti. Invece così è stato, e in molte parti del mondo il potere d’acquisto dei titolari di redditi fissi si è ridotto considerevolmente. In Italia, ad esempio, negli ultimi 5 anni le retribuzioni sono rimaste stagnanti, e tenendo conto dell’inflazione (che invece è salita con discreta regolarità), il calo del potere d’acquisto e’ stato del 10%; negli Usa ancora di più. Ma vi è un luogo ove tutto ciò non è avvenuto: si tratta dei piani alti delle aziende, ove vivono i top manager che dirigono le imprese. Per loro, come vedremo, le regole del mercato si applicano in maniera molto discrezionale.

 

2.

Va detto, anzitutto, che è davvero molto difficile conoscere gli stipendi dei manager, e ciò sia per la naturale riservatezza delle imprese, che troverebbero complesso spiegare alcune retribuzioni “top”, sia per la complessità delle buste paga, che prevedono almeno altre quattro diverse voci oltre la retribuzione: la quota variabile con i risultati, le opzioni azionarie, i benefit e le gratifiche. Ma le voci possono facilmente divenire decine, con alcune indennità erogate nell’anno in corso, altre a distanza di tempo. In tale generalizzata riservatezza, di tanto in tanto si intrufola un giornalista o uno studioso, e svela, tra lo scandalo generale, a quanto ammonta la total compensation dei capi d’azienda.

Negli Usa, secondo Business Week, i CEO delle cinque maggiori aziende private nel 2007 hanno incassato tra i 16,7 e i 31,9 milioni di dollari. In media, il capo azienda di una delle 500 imprese del listino azionistico S&P guadagna in tre ore quanto un dipendente in un anno.

 

In Europa la situazione non sembra molto dissimile (magari è solo un po’ meno pubblicizzata).  Su Fortune International del 7 Ottobre 2006, l’esperto Abrahm Lustgarten ha profilato i 25 manager più pagati d’Europa, trovando redditi che vanno da 4,5 ai 32 milioni di dollari, solo in minima parte (tra il 5 e il 20%) erogati in forma di salario. I più pagati sono i manager francesi, ma nell’elenco figurano un po’ tutte le nazionalità. Gli italiani presenti nella golden list erano tre: Marchionne (Fiat), Trochetti Provera (Telecom), Scaroni (ENI).

 

Tabella 2: I 5 CEO  più pagati nel 2006.

 

Nome

Azienda

Retribuzione 2005

Salario

Bonus

Opzioni azionarie

Altro

LINDSAY OWEN-JONES

L'Oréal, France

$32M

14%

13%

72%

1%

DANIEL VASELLA

Novartis, Switzerland

$19,9M

11

-

87

2

HENRI DE CASTRIES

AXA, France

$13,8M

5

20

75

 -

JOSEF ACKERMANN

Deutsche Bank, Ger.

$10M

14

86

 -

 -

 ARUN SARIN

 Vodafone, Britain

$9,9M

22

 

74

4

Fonte: Fortune International (Europe); 7/10/2006, Vol. 154 Issue 1, p55-57

 

Quello che più stupisce chi scrive, però, non è tanto l’importo delle retribuzioni dei manager, che ad alcuni potrebbe sembrare scandaloso, quanto l’assenza di mercato e di trasparenza nella determinazione delle stesse. Per tornare al caso delle cinque maggiori aziende Usa, ad esempio, il manager più pagato del 2007 lavorava alla Johnson & Johnson, che in quell’anno ebbe la crescita azionaria più deludente: appena 3,6% se comparata al +24,3% della ExxonMobil, il cui CEO si è portato a casa “soltanto” 16,7 milioni di dollari, cioè la metà dell’altro. Una evidente ingiustizia da piani alti del capitalismo mondiale. Tali disparità sono diffuse in tutta l’economia americana, ove non esiste un valore di riferimento che lega le compensazioni dei manager con i guadagni dell’impresa. Senza citare poi i casi eclatanti, come quelli di presidenti e amministratori che, dopo aver portato le imprese sull’orlo del fallimento,  se ne vanno con bonus milionari, essendosi costruiti delle autostrade d’oro per facilitare la fuga dall’impresa in crisi (si veda il box sulla Lehman Brothers). Insomma, possiamo definire quella dei top manager una vera e propria giungla retributiva, che si è espansa rapidamente a partire dagli anni ‘90. Secondo John McCall della Saint Joseph’s University di Philadelphia in quella decade, le retribuzioni dei lavoratori americani sono aumentate mediamente del 37%, mentre quelle dei manager del 571%. Questi, all’inizio del 1980, avevano una retribuzione circa 40 volte un lavoratore medio, mentre all’inizio del 2000 il rapporto era passato a 500. In pratica, se per i lavoratori dipendenti si fossero applicate le stesse percentuali di aumento, il loro salario ora sarebbe di oltre 120 mila dollari l’anno, non di 24 mila.

 

3.

Alfred Rappaport, su Harvard Business Review di marzo – aprile 1999, sostiene che, utilizzando gli schemi retributivi convenzionali, spesso i top manager vengono premiati anche quando la propria azienda va male. Infatti, nelle fasi di crescita dei mercati, tanto le imprese che ottengono buoni risultati, quanto quelle che non raggiungono gli obiettivi sperati riscontrano miglioramenti azionari, e ciò per motivi macro economici di scenario esterno, quindi al di fuori di qualsiasi controllo manageriale.  Robert Boyer, su Competition & Change del marzo 2005 va ancora più in là: le politiche retributive basate sulle stock option, nate per piegare i manager al volere degli azionisti che chiedevano una sempre più rapida  remunerazione degli investimenti, sono ormai alle corde. I CEO, infatti, grazie a una spregiudicata alleanza con il mondo della finanza, hanno capito come far crescere il valore delle azioni senza necessariamente migliorare le performance aziendali. Basta, ad esempio, ricorrere a fusioni e acquisizioni di altre aziende, magari con associati licenziamenti di massa, per ottenere lauti guadagni in borsa e quindi sulle opzioni detenute. In più, se si incrementa la dimensione aziendale, di solito cresce anche la retribuzione dei manager.

Cambiare tale situazione è però possibile. Anzitutto bisogna contenere l’opportunismo dei top manager richiamando l’impresa, tramite il controllo pubblico sui bilanci,  a comportamenti responsabili. Ciò significa, in sintesi, passare dai bilanci tradizionali alla preparazione e diffusione obbligatoria dei bilanci etici, traslando dal controllo degli shareholder a quello degli stakeholder: azionisti, lavoratori, comunità locale. In tale contesto, le compensazioni milionarie per i manager avrebbero scarsa possibilità di esistere. Inoltre bisogna passare dalla retribuzione legata agli andamenti aziendali a breve a quella a medio termine: tramite la leva fiscale è tutto sommato semplice premiare i manager che garantiscono aumenti duraturi del patrimonio aziendale. In tal modo, peraltro, si applicherebbe loro la stessa regola invocata da chi vuole che ogni aumento retributivo sia legato ad un aumento della produttività.

Avrà la politica mondiale la forza di riformare il sistema retributivo dei top manager? Sinora ciò non è avvenuto. Il Financial Stability Board,  l’organismo nato per fronteggiare l’incertezza dei mercati dopo la crisi del 2008, aveva preparato, in vista del Summitt di Pittsburgh del 2009, una articolata proposta intesa a migliorare la governance del sistema finanziario, fissando standard globali per le retribuzioni e la trasparenza del sistema, ma soprattutto intesa a evitare che i CEO si assumessero rischi eccessivi per poter migliorare i propri bonus. Ma, come noto, quella proposta non è stata approvata, se non in minima parte. E i bonus hanno ricominciato a salire, sino a toccare in Gran Bretagna il record di 4,5 miliardi di euro. E i rischi per la stabilità sono aumentati, come dimostra lo tsunami finanziario del 2011 che sta affossando Nazioni intere.

 

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Box: Il valore di un fallimento.

 

Il 6 Ottobre 2008 Richard Fuld, chief executive della Lehman Brothers, è stato chiamato a Washington a testimoniare davanti alla Commissione di indagine del Congresso che cerca di stabilire se esistono colpe imputabili ai manager della banca fallita. In quell’occasione il presidente del comitato, Henry Waxman, ha reso noto la “busta paga” del manager: in 8 anni alla Lehman, Fuld ha incassato oltre 480 milioni di dollari, incluso due premi speciali di 91 milioni nel 2001 e di 89 milioni nel 2005. Il manager si è difeso affermando che quei numeri non erano esatti, in quanto egli aveva guadagnato “soltanto” 60 milioni di dollari in contanti, il resto erano azioni ormai senza valore. Obiezione che non ha convinto il Congresso, che ha chiesto spiegazioni su come avesse fatto il manager ad acquisire una lunga lista di proprietà, tra cui una splendida villa in Florida pagata 14 milioni. Della cui utilità non si ha dubbio: in fine dei conti ora saprà dove nascondersi.