LE RETI NELLA VITA QUOTIDIANA

(di Patrizio Di Nicola)

 

"Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione modificheranno profondamente il nostro modo di vivere e lavorare". "Internet entra nelle nostre vite e le riscrive". "Le reti aprono orizzonti nuovi all’essere umano". Sono soltanto alcune delle affermazioni che sentiamo ripetere spesso: non c’è convegno, esperto o pubblicazione che manchi di ricordarci, a volte con noncuranza, altre volte con pomposa enfasi, che siamo nell’era del post industriale. I prodotti "evaporano", diventano soffici, il costo delle materie prime rappresenta solo una percentuale, e anche piccola, del costo totale di un prodotto. In un pacco di pasta il valore di quel che mangiamo è ormai soltanto il 18% del valore totale della scatola sugli scaffali del supermercato: tutto il resto se ne va in design, pubblicità, comunicazione d’impresa, sitemi informativi necessari per far giungere il prodotto sullo scaffale dove lo troviamo. Il valore aggiunto dei prodotti industriali corre sulle corsie ondulate dei bit trasmessi attraverso Internet sotto forma di pensiero, ricerca, sperimentazione. Con la rivoluzione industriale il luogo di fabbricazione di un bene era divenuto indipendente da quello di consumo. Con la rivoluzione telematica anche il lavoro diventa indipendente dal luogo fisico in cui un bene nasce. Con il telelavoro si può partecipare alla produzione di una Fiat (o di un altro bene qualsiasi) senza aver mai messo piede in fabbrica. E magari senza neanche aver mai visitato l’Italia.

Cosa significa questo, concretamente, per un comune mortale ? Tutto ciò ci cambia la vita, ma come, in che maniera ? Gli esperti qui si mantengono sul vago. E allora valgono le storie personali, come quella di chi scrive. Il quale, da ricercatore, ha incontrato Internet per caso e il telelavoro per scelta.

Ho scoperto la telematica durante un viaggio negli Stati Uniti alla metà degli anni Ottanta. L’amico che mi ospitava, dotato di un bellissimo e potentissimo (almeno per quell’epoca: io avevo a casa un Commodore 64, con il quale avevo scritto un pamphlet per il Congresso 1986 della Cgil) Personal Computer mi fece vedere come, da casa, era possibile introdursi nella famosa biblioteca di una famosa università, cercare testi, memorizzarne la posizione e perfino prenotarli per averli in lettura (cosa per noi impossibile, visto che eravamo a oltre 2.000 Km di distanza dalla sede dell’università). Allo stesso modo, chiuso il collegamento con la biblioteca, era possibile fare altre cose fantascientifiche, come controllare l’orario dei voli, avere le previsioni del tempo, spedire lettere ad altri utenti della Rete anche se non collegati in quel momento. Avevo fatto la mia conoscenza con Internet. Era, naturalmente, l’Internet dei pionieri: difficile da usare, senza nessun accenno di grafica, e per navigarci dentro bisognava usare i programmi shareware, per lo più scritti da entusiasti docenti e studenti di matematica o informatica. Tornato a casa decisi che non potevo fare a meno di Internet. Ma le mie aspettative furono presto frustrate: la rete in Italia era pressocchè sconosciuta se non in alcuni (pochi) istituti specializzati del CNR. Decisi comunque di andare avanti e, venduto il Commodore, quasi mi svenai per acquistare un PC dotato di un modem in grado di trasmettere e ricevere dati alla fantascientifica velocità di 1.200 bit al secondo. E con quello divenni un utente di tutte le (poche) BBS amatoriali che esistevano a Roma. Era come far parte di un circolo chiuso: la posta ce la scambiavamo tra di noi, i programmi e i servizi disponibili erano solo quelli permessi dal computer che ci ospitava. Ma facevo anche parte di una comunità virtuale: quando avevi un problema bastava inviarlo in una area pubblica di discussione e sicuramente qualcuno ti avrebbe dato buoni consigli. Alcune di queste BBS utilizzavano una tecnologia, detta FidoNet, che le collegava insieme. E questo permetteva di partecipare a dibattiti internazionali e inviare posta ad utenti che stavano all’altro capo del mondo. Certo, tra l’invio di una mail e la risposta poteva passare una settimana, ma era pur sempre un passo avanti.

Alla fine degli anni Ottanta una delle BBS che frequentavo fece una innovazione sensazionale: si collegò alla rete Internet. Ciascun utente ebbe così un indirizzo sulla Rete e poteva inviare e ricevere mail oltre i propri confini. In breve quella BBS divenne un servizio professionale (e a pagamento) tramite cui era possibile fare tutte le cose che aspettavo da anni: collegarsi alle grandi biblioteche, ricevere programmi, ordinare libri e fotocopie di articoli, iscriversi alle discussion list, delle speciali aree di dibattito a tema basate sull’invio e la redistribuzione della posta elettronica. Ero vicino a coronare il sogno della mia vita di ricercatore: compilare, senza mai muovermi da casa, le odiate list of references di opere a stampa che debbono sempre chiudere gli articoli da pubblicare sulle riviste accademiche. Mi ero affrancato dalla sala cataloghi della Biblioteca Nazionale !

A poco a poco scoprii che era anche possibile lavorare con persone che avevano i miei stessi interessi, prescindendo dalla loro localizzazione geografica. Iniziai a inviare tramite Internet i miei lavori e a ricevere quelli degli altri, nonché, grazie al gopher, un sistema a menù di cui disponevano molte università fui in grado di leggere e memorizzare su disco articoli, papers e tesi prodotte ovunque. Poi venne il Web, la ragnatela grafica inventata dal CERN di Ginevra e le informazioni divennero più facili da pubblicare su Internet, e quindi aumentarono a dismisura, tanto che nacquero dopo poco i Web Spider, i "ragni" che percorrevano la rete per indicizzarne le pagine.

Il mio utilizzo primario della Rete rimase però legato alla posta elettronica e alla partecipazione alle aree comuni di discussione. Era con questi strumenti che si diffondevano le idee, che mettevo in cantiere progetti, che sostituivo incontri fisici che altrimenti mai avrebbero potuto aver luogo. Insomma mi scoprii telelavoratore: rispondevo quasi perfettamente agli identikit preparati da esimi esperti un po’ in tutto il mondo. Ma non ero neanche il solo. Basti pensare che alla fine del 1995 entrai in un team di 15 persone che preparava, per la presentazione alla Commissione Europea, un progetto internazionale (di diffusione e studio del telelavoro, appunto). Quel progetto fu pensato, scritto e presentato usando Internet. Solo dopo la sua approvazione riuscimmo ad incontrarci - era il settembre del 1996- per completare fisicamente la nostra conoscenza. Ma ancora oggi il 95% del lavoro lo svolgiamo via Internet, sulle cui fibre abbiamo costruito un vero e proprio ufficio virtuale, con sale riunioni, sistemi di videoproiezione, archivi comuni.

Tutto questo ha modificato la mia vita ? Si, in molti modi, alcuni positivi ed altri meno. Anzitutto ha cambiato i miei oggetti di studio: mi interesso molto più di prima dell’impatto delle tecnologie della comunicazione sul lavoro e sulle organizzazioni, del telelavoro, della virtualizzazione dell’impresa. Poi pratico di più quel che predico: ho fondato all’inizio del 1996 una associazione di studio e ricerca completamente virtuale che opera su Internet e gestisco (un’esperienza esaltante) un sito Web e una discussion list sul telelavoro. Naturalmente ho anche scritto un paio di anni fa un libro su Internet (e una versione aggiornata che sarà pubblicato a breve) e sperimento su di me tutti i nuovi prodotti che facilitano il lavoro cooperativo in rete: attrezzi per videoconferenze, per riunioni a distanza in tempo reale, strumenti per la produttività di gruppo. E’ cambiato, e molto, il mio stile di lavoro: dedico le ore a casa alla ricerca e alla scrittura (prima per lo più leggevo), telefono di meno ma mi collego a Internet più spesso, almeno tre volte al giorno. Questo mi ha però fatto apprezzare (e mi ha reso indispensabile) il contatto fisico con i colleghi. Quando sono fuori, nei luoghi deputati al lavoro, per lo più chiacchiero avidamente con gli altri, scambio informazioni e cerco notizie che non otterrei altrimenti. Sono diventato anche un po’ intollerante nei confronti di chi non usa le tecnologie che io adopero: "come faccio a lavorare con te, se non possiamo spedirci i file ?". Neanche a dirlo ho dovuto faticare un po’ per far accettare a casa questo nuovo "andazzo": in fin dei conti se esci alle 8 del mattino per andare in ufficio, agli altri "il lavoro sembra più lavoro" che non spostandosi dalla camera da letto allo studio. Ho scoperto, infine, di essere più produttivo, ma anche più vulnerabile: sapendo di poter contare su tecnologie che padroneggio bene, mi impegno in più lavori di quanto avrei fatto prima. E così, acuendo la mia tendenza al work-alcoholism, ho permesso che il lavoro "colonizzasse" parte della notte e un po’ dei week end. Ma quel di cui soffro davvero è l’overload di informazioni: la Rete, espandendosi, offre sempre nuove opportunità e conoscenze; non è detto che tutte le mail che mi arrivano oggi siano utili, ma per decidere se lo sono bisogna prima leggerle. Così sono stato costretto a divenire molto più selettivo nelle mie amicizie virtuali, tanto da sembrare anche un po’ snob...