Comunità professionali in rete

 

Di Patrizio Di Nicola per Digital Business (novembre 2001)

 

 

 

Nel 1990 Federico Butera, uno dei massimi esperti italiani di organizzazione dell'impresa, dedicò un fortunato volume[1] a dimostrare che l'azienda che si conosceva sino ad allora, nata dal processo di standardizzazione e specializzazione del lavoro che trovò il suo culmine in Taylor e Ford, era destinata a scomparire. Al suo posto compare "la rete organizzativa, in cui i sistemi componenti (imprese, unità organizzative, ruoli, persone, ecc.) sono altamente vitali, interagiscono attraverso una varietà di potenti sistemi di connessioni."[2] Lo studioso quindi intravede, seppur le sue applicazioni concrete siano ancora distribuite a macchia di leopardo, il declino delle strutture organizzative chiuse, che non a caso egli definisce "castelli".  Come castelli medioevali, infatti, tali organizzazioni debbono tenere al loro interno lavorazioni, persone, materiali, competenze. Il flusso di comando è rigidamente gerarchico e discendente: quando il feudatario ordina, tutti sono chiamati all'obbedienza. Tale struttura, va detto, può oggi sembrare anacronistica, ma ha avuto degli indubbi vantaggi nello sviluppo del mondo moderno come lo conosciamo attualmente.  Max Weber ha dimostrato con ampiezza di ragionamento[3] che la burocrazia era  il sistema migliore che si potesse immaginare  per limitare la tirannia e l'abuso dei governanti sui governati. F.W. Taylor, dal canto suo, vagheggiava sul finire dell'Ottocento un mondo basato sulla razionalità tecnologica, in cui qualsiasi lavoro, da quello dell'operaio a quello del manager, si svolgesse secondo il principio della one best way, e quindi nel modo che si fosse rivelato migliore al fine di produrre di più con il minimo sforzo[4].  Ford, mettendo in pratica le idee tayloriste, costruì un innovativo stabilimento per la produzione di massa di un prodotto, le automobili, che sino ad allora erano considerate un bene di lusso, destinato soltanto a pochi privilegiati[5].  Questi pionieri, tutti insieme, hanno costruito non soltanto un modo nuovo di produrre i manufatti industriali, ma un modello di società basato su principi validi ancora oggi: la legalità dell'amministrazione dello Stato; la trasformazione di un proletariato di fabbrica ai limiti della sopravvivenza in una moderna classe agiata; le regole fondamentali del management moderno.

Nella fase che viviamo oggi, le regole nate attorno all'inizio del secolo sembrano diventate strette all'impresa, che si trova ad operare non più su mercati interni, e quindi tutto sommato controllabili con facilità, ma su mercati globali. L'avvento della società post industriale, inoltre, sposta il focus della produzione e dei consumi dai beni fisici a quelli immateriali, e richiede perciò un sempre maggior apporto delle intelligenze dei lavoratori[6].  Ciò rende necessari approcci nuovi alle problematiche dell'organizzazione del lavoro e dell'impresa. E' su questo imperativo che si innestano le possibilità offerte dall'integrazione dei computer con le reti di trasmissione dei dati. E' in questo contesto che nasce l'idea dell'esistenza di uno "spazio di rete" in cui operano le persone collegate tramite i computer. Questo spazio, in definitiva, diventa parte dell'organizzazione e determinante dei rapporti organizzativi.

 

 

William Gibson, noto come scrittore di fantascienza, ma anche come visionario anticipatore del mondo techno-punk, definì il cyberspazio "un'allucinazione consensuale"[7]. Esso, quindi, non esiste, in quanto allucinazione, ma se i partecipanti alle interazioni che si svolgono sulla rete concordano sulla sua esistenza, e si comportano consensualmente come se davvero le persone collegate operassero in uno spazio, ecco allora che il cyberspace diviene un'entità reale per chi ne fa parte. All'interno di questo spazio consensuale, secondo H. Rheingold, un precursore in questo senso, nascono e si sviluppano grandi e piccole comunità, il cui scopo principale è l'interscambio di informazioni, progetti, pensieri[8]. Le comunità virtuali influenzano l'agire concreto dei suoi membri nella vita reale in diversi modi: si sceglie una medicina anziché l'altra sulla base dei resoconti riportati nei forum di discussione, si decreta il successo o il fallimento di prodotti e iniziative commerciali, si scelgono partner per un'impresa, si costruiscono gruppi di interesse o di pressione su specifici argomenti e aspetti della vita quotidiana. Nella tecno-utopia di Rheingold l'aspetto finale delle comunità in rete consiste nel "reinventare" i processi democratici: "Quale scenario sembra più vicino alla democrazia e quale al regime totalitario: un mondo in cui poche persone controllano la tecnologia delle comunicazioni utilizzabile per manipolare le convinzioni di miliardi di persone, o un mondo in cui tutti i cittadini possono comunicare con tutti gli altri cittadini?"[9] Il virtuale, quindi, sopravanza il reale, lo reinventa e lo adatta alla rappresentazione che del reale hanno sviluppato le comunità in rete[10].

 

Il concetto di cyberspazio è di estrema importanza per le scienze dell'organizzazione: se una coorte di individui, come i dipendenti di un'impresa, concordando sul paradigma dello spazio virtuale, inizia ad operarvi concretamente, ad esempio sostituendo alcune prassi comunicative fisiche come la riunione con equivalenti - o quasi equivalenti- prassi virtuali oppure creando proprie aree di discussione sui vari aspetti della vita di un progetto in cui sono coinvolti, allora per le aziende diviene conveniente - e in parte obbligatorio - rinforzare la sensazione di esistenza dello spazio virtuale offrendo ai membri dell'organizzazione i servizi di cui essi hanno bisogno per utilizzarlo al meglio. In tal modo, infatti, l'azienda esalta a scopo produttivo una volontà di condivisione delle esperienze e conoscenze professionali che genera il network tra i membri dell'organizzazione. Perché questo sia positivo è intuitivo: è nel passaggio tra organizzazione fordista del lavoro, che faceva dell'isolamento e della specializzazione del lavoratore il proprio fulcro e organizzazione post fordista, che fa della creazione e gestione della conoscenza il centro della produzione,  che si sviluppano i nuovi prodotti immateriali. Per dirla con Pierre Lévy, "lo skill flow condiziona il cash flow".[11]

Il supporto ai network professionali interni spiega, almeno in parte, la sempre maggiore importanza che le aziende attribuiscono alle funzionalità di team work e di lavoro cooperativo delle intranet. Sotto un profilo puramente operativo, infatti, una buona rete aziendale dovrebbe garantire semplicemente la possibilità di condividere i dati tra i membri dell'organizzazione. E ciò era assicurato, naturalmente con le limitazioni tecnologiche dell'epoca, anche dai grandi computer dipartimentali dotati di terminali e, in seguito, dalle reti di PC collegati ai server aziendali. Ma tali strumenti, ovviamente, non avevano la comunicazione interpersonale tra i loro scopi principali. E, di conseguenza, non offrivano generalmente la possibilità di creare dentro le LAN piccole o grandi comunità virtuali. Così, lo spazio virtuale non poteva concretizzarsi.  L'esistenza invece di un'area cognitiva condivisa e in parte autogestita -come avviene ad esempio con l'implementazione di protocolli peer to peer o con software come Lotus Notes che permettono la creazione di newsgroup e forum sulla intranet - assicura un importante  supporto alla possibilità di attuare una "mobilità" nella rete. Con questo termine si intende generalmente la possibilità, aperta dalla telematica, di "muoversi", seppur senza viaggiare fisicamente, da un posto concettuale all'altro, come ormai siamo abituati a fare nel Web. Se vogliamo prenotare un viaggio da Milano a Roma, prima andremo sul sito dell'Alitalia per confrontare costi e orari; quindi daremo uno sguardo alle previsioni del tempo sull'aeroporto di Linate, e magari, accertata la probabilità di nebbia, ci sposteremo sul Web di Trenitalia per acquistare il biglietto per un mezzo di locomozione meno influenzato dalle condizioni climatiche. Ma mobilità è anche quella di status, classe, ruolo sociale e carattere[12].  Nelle intranet, infatti, più che mascherando la propria identità, fenomeno ampiamente studiato nelle prime ricerche sulle comunità di Usenet[13], i partecipanti ad una comunità telematica si scrollano di dosso parte delle limitazioni indotte dalle regole "reali" dell'impresa - come la suddivisione in uffici e divisioni, o i ruoli gerarchici - e concorrono a un dibattito professionale corale e permanente. Essendo l'esperienza professionale il collante che lega i partecipanti alla discussione, si genera una "zona franca a-gerarchica", quindi eminentemente legata alle esperienze, che permette alle idee una circolazione priva di vincoli. E' su questa secondo aspetto della mobilità, quindi, che si fondano le comunità professionali che operano nelle reti aziendali.  Ma, come detto, tale processo deve ottenere non solo il placet dell'impresa, ma soprattutto il suo supporto. Laddove prevale la burocrazia organizzativa, come documentato in vari studi, anche l'adozione di sofisticati sistemi di groupware non riesce a cogliere nel segno[14]. Dal punto di vista dell'impresa, infatti, si deve accettare un elevato livello di discrasia tra discussioni professionali online e possibilità di un utilizzo produttivo immediato degli output semantici.  Il valore della conoscenza, infatti, non è immediatamente visibile: per il soggetto X, sapere che a fronte di un dato problema il suo collega Y ha attuato una certa strategia può non avere valore immediato. Quella conoscenza assume un valore quantificabile soltanto qualora anche X si trovi difronte a un problema simile, per cui potrà mettere in pratica quanto appreso, magari mesi prima. Quindi il valore delle comunità professionali virtuali interne alle imprese va valutato, sotto il profilo organizzativo, da molteplici punti di vista:

-          come elemento di socializzazione professionale intra-aziendale;

-          come area di problem solving a fronte di specifiche problematiche esplicitate in rete da un membro della comunità

-          come area di de-burocratizzazione dei rapporti di lavoro tra professionisti situati a livelli diversi di responsabilità nell'impresa

-          come elemento di rinforzo dell'identità aziendale  attraverso l'appartenenza a specifiche e più gratificanti comunità professionali dell'azienda.

 

 

Il concetto di comunità professionale in rete, nonostante gli sforzi messi in atto dalle aziende per creare sistemi di lavoro cooperativo e di discussione, si espande ben oltre i limiti della intranet. Oltre ad essere uno sviluppatore di software dell'azienda X - e in quanto tale membro della comunità professionale interna - spesso l'individuo si percepisce anche come facente parte della più ampia comunità degli sviluppatori. Non si tratta di un mero "orgoglio del mestiere": se così fosse sarebbe relativamente facile costruirgli uno status appropriato all'interno della comunità aziendale, ma di una vera e propria "appartenenza multipla", che ha le sue regole di lealtà, cooperazione, mutua assistenza.[15] L'appartenenza ad una comunità virtuale allargata, infatti, garantisce l'esistenza di una via di fuga dalla rete aziendale, ed abilita l'ingresso in un nuovo posto di incontro, che promette nuovi discorsi sociali e nuove esperienze di comunione professionale.[16]  In fin dei conti, come notato oltre un secolo orsono da Toennies, esiste una differenza notevole tra comunità e società (che l'autore distingueva anche terminologicamente: Gemeinschaft and Gesellschaft), che deriva dalla concomitante degenerazione delle strutture sociali tradizionali (in cui ricade anche l'impresa) e la crescita di importanza degli aspetti di relazione sociale.[17]  La partecipazione alla comunità allargata allenta, dal punto di vista dell'organizzazione, i vincoli interni, e porta a risultati paradossali. Rimanendo al caso degli sviluppatori di software, è prassi comune, nei Newsgroup, aiutarsi a vicenda per superare ostacoli professionali particolarmente ardui, suggerendo routine di programma, linee di codice risolutive, ovvero algoritmi particolarmente "eleganti". E ciò viene fatto a prescindere dall'appartenenza dell'altro. Con il paradossale risultato che due membri della comunità, pur appartenendo ad aziende diverse, si aiutano per migliorare prodotti software che poi saranno in concorrenza nel mercato. Cosa che, in ultima analisi, ricorda un po' le regole della cavalleria medioevale. Ancor di più, il suggerimento professionale dato ad uno, per la struttura che è propria dei Forum telematici, rimane a disposizione di tutti in un archivio, togliendo quindi all'originatore ogni possibilità di controllarne l'effettiva circolazione.

Esempi di quanto detto si possono trovare quotidianamente nei vari newsgroup dedicati alla programmazione, seppur con qualche difficoltà derivante dal fatto che spesso i membri della comunità non usano (ed intuiamo perché) la loro email aziendale per interagire nelle comunità esterne. Nel caso riportato sotto, apparso ai primi di novembre nel forum comp.lang.java.programmer, un programmatore della nota azienda Compaq pone un quesito - incomprensibile per i non addetti ai lavori- sul mancato funzionamento di un programma scritto in Java.  Dopo pochi minuti, gli risponde un altro esperto, proprietario della società che sviluppa un software per la gestione dei siti Web (Arachnophilia), che potrebbe essere un suo concorrente. Ma probabilmente risolve il problema, suggerendo l'istruzione giusta.

 

"John Wood" <woodjohn@compaq.com> wrote in message
news:wjzE7.1249$RL6.27182@news.cpqcorp.net...
> I want to be able to interrupt a thread this is accepting connections on a
> server socket.
>
> Attached is a Java program that creates a second "server" thread. The main
> thread
> then tries to interrupt the server thread.
>
> The interrupt works on Tru64 UNIX, in that I get an
InterruptedIOexception.
> The interrupt does not work on Windows: the server thread is still in the
> ServerSocket.accept() call.
>
> Why is there this difference in behaviour? Have I coded this wrong, or how
> can I
> code to get the same interrupted behaviour on all systems?


>  serverThread.interrupt();

Bad idea. Without examining your code in detail -- the accepted way to stop
a thread is to set a flag that the thread can read, and let the thread stop
itself. This approach will also have the advantage of solving the problem
you are having.

In your case, before calling accept() on your socket, use setSOTimeout() to
set an expiration time. When that time expires, check the flag described
above, and if it is not calling for a shutdown, call accept() again. This
arrangement will not have any measurable effect on the responsiveness of
your code, the socket is still valid after the timeout, and accept() can be
invoked again.

--
Paul Lutus
www.arachnoid.com

 

 

 

E' evidente che situazioni di questo genere sono la normalità delle comunità professionali in rete, ma aprono una serie di questioni dal punto di vista dell'azienda.  Le organizzazioni, infatti, pretendono normalmente dai loro membri il massimo della professionalità, ma anche della fedeltà. Le due cose, quando si parla di gruppi altamente professionalizzati ed operanti in rete, sono in contrasto. Se infatti si vietasse l'accesso alle comunità allargate si otterrebbe il risultato di impoverire professionalmente l'individuo, e gli si toglierebbe non soltanto un'area di socialità, ma anche un'arena di confronto con chi opera in contesti diversi. Le comunità professionali in rete, in fin dei conti, costituiscono un enorme classroom ove gli individui apprendono in continuazione e a volte si gratificano svolgendo il ruolo di docente. Se, viceversa, si fissassero dei limiti ai livelli di interazione, si metterebbe l'individuo in una situazione a forte valenza negativa, in quanto lo si costringe ad un comportamento opportunistico, che alla lunga induce una scelta tra fedeltà alle regole dell'azienda e fedeltà alle regole di comportamento della comunità professionale.

In definitiva, il paradosso pare insanabile: i migliori professionisti tendono inevitabilmente ad appartenere alle comunità allargate in rete, e alle aziende non resta che assecondare questa tendenza con regole molto soft, fidando in definitiva proprio nella potenza dell'interscambio e nelle regole deontologiche della comunità cui le persone scelgono liberamente di appartenere.

 

 

 

 

 

 



[1] Butera F., Il Castello e la Rete, Franco Angeli, Milano, 1990.

[2] Ivi, pag. 12

[3] Weber, M., Economia e società, Comunità. Milano, 1961 (2 voll. ed. or. 1922)

[4] Taylor F. W., L'organizzazione scientifica del lavoro, ETAS/KOMPASS, Milano, 1967.

[5] Ford H. , La mia vita e la mia opera, Apollo, Bologna, 1928 (ora in Henry Ford, Autobiografia, Rizzoli, Milano, 1982).

[6] De Masi D., et al., Il lavoratore post-industriale. La condizione e l'azione dei lavoratori nell'industria italiana, Franco Angeli, Milano, 1984

[7] Gibson W., Neuromancer, Ace Books, New York, 1984.

[8] Rheingold, H. Comunità virtuali, Sperling & Kupfer, Milano, 1994.

[9] Ivi, pag. 16

[10] Va detto, per inciso, che questo processo ha anche aspetti potenzialmente negativi non colti da Rheingold: l'immagine del reale mutuata dalla rete è soprattutto la rappresentazione di uno specifico gruppo sociale. La rete, infatti, è ancora oggi (e di più lo era ai tempi in cui l'autore scriveva) territorio del quartile "alto" per reddito, cultura e accesso alle tecnologie della popolazione.

[11] Lévy, P., L'intelligenza collettiva, Feltrinelli, Milano, 1996

[12] Jones, S.G, "Understanding Community in the Information Age", in Jones, S.G (ed.) CyberSociety, Sage, London, 1995

[13] Reid, E. M. Electropolis: Communication and Community On Internet Relay Chat, 1991 Honours Thesis, University of Melbourne, Australia

[14] Ciborra , Turbé Suetens N., "Il groupware fra burocrazia e organizzazione virtuale", in Ciborra C. (a cura di), Lavorare assieme, Etaslibri, Milano, 1996

[15] Bruckman, A, "Finding One's Own Space in Cyberspace," Technology Review 99:1 (January 1996), pag. 48-54.

[16] Harasim, L. M., "Networlds: Networks as Social Space," in Harasim, L. M. (ed.),  Global Networks: Computers and International Communication, Sage Publications , Thousand Oaks, CA, 1995, pag. 15-34.

[17] Toennies, F. (1988). Community and Society (Gemeinschaft und Gesellschaft), Transaction, New Brunswick, NJ. (Ed. Or. 1887)