Lavoro Minorile

Progetto CLACSE

 

 

Il lavoro dei bambini: una panoramica internazionale

 

Bozza  (03/09/1996)

 

(Patrizio Di Nicola)

 

 

1. PREMESSA

 

“... la candela illuminava la stanza, una stanza quadrata, con due finestre, riempita di tre letti.... Nel letto a sinistra dormiva Zacharie, il maggiore, un ragazzo di ventun anni, insieme a suo fratello Jeanlin, che stava per compierne undici, mentre in quello di destra dormivano abbracciati l’uno all’altro due bambini, Lénore e henri, la prima di sei e il secondo di quattro anni. Catherine divideva invece il terzo letto con sua sorella Alzire, una ragazzina così poco sviluppata per i suoi nove anni.” E’ questa la presentazione che Emile Zola fa dei Maheu, una famiglia di minatori come tante, che vivevano, sul finire dell'Ottocento, in un villaggio minerario della Francia. [1]  Dai Maheu tutti, in qualche modo, lavoravano. Sino a nove anni in casa, ad accudire i fratelli minori, per aiutare ad “impietosire” le signore ricche che abitavano le case padronali della vicina città, oppure a raccogliere le erbe selvatiche che costituivano, nei tanti periodi di vacche magre, l’ingrediente principale della minestra serale dei minatori. Allo scoccare del decimo anno, maschi o femmine, si entrava in miniera, con lavori progressivamente più pesanti e pericolosi, che avrebbero portato quei bambini, quaranta anni dopo, ad essere considerati dei vecchi. E a ritenersi fortunati perché erano sopravvissuti.

Lo spaccato presentato da Emile Zola è di enorme valenza sociologica: non soltanto per come racconta il proletariato e la sua condizione, ma anche perché la sua descrizione della famiglia dei minatori francesi si avvicina enormemente a quella fatta, solo alcuni anni fa, dall’Unicef, l’istituto delle Nazioni Unite per i minori, sulla condizione dei bambini in un villaggio indonesiano vicino a Java. Anche in quel contesto, dominato da un’economia basata sull’agricoltura e l’allevamento del bestiame, i bambini diventavano economicamente attivi a 10 - 12 anni, e iniziavano a lavorare in famiglia a partire dai 6. (figura 1)  Il lavoro dei minori in Indonesia è consentito dalla legge, che esclude però turni superiori alle quattro ore consecutive e le attività notturne.

Ma le regole adottate nel paese asiatico non costituiscono certo un'eccezione. Eppure la comunità internazionale si è data una serie importante di regole intese a prevenire il lavoro precoce.  La Convenzione 138, approvata dall'Ufficio Internazionale del Lavoro nel 1973, fissa a 14 anni l'età minima per l'avviamento al lavoro (12 laddove non esistano strutture educative e socio-economiche sviluppate). Quella convenzione è stata ratificata sinora da 49 dei 173 paesi membri: solo 21 sono nazioni in via di sviluppo e nessuna di queste è asiatica, dove, nota l'ILO, "si trova la metà dei bambini lavoratori del mondo" [2]. Maggior fortuna hanno avuto invece le Convenzioni n. 29 del 1930 e n. 105 del 1957 sul "Lavoro Forzato", che furono ratificate, rispettivamente, da 136 e 115 governi. Si tratta, però, di fortune spesso soltanto teoriche, in quanto, anche in questo caso, "la schiavitù e il traffico di bambini da avviare al lavoro continuano ad essere largamente praticati in molte nazioni" [3]

 

Figura 1: Tipologie di lavoro minorile, dai sette anni in poi.

 

 

 

Fonte: Mani Tese, Iqbal aveva 150 milioni di fratelli, dossier a cura di Marinella Correggia e Silvia Ferrari, Milano, gennaio 1996, pag. 9.

 

 

 

2. QUANTI SONO

 

L’Indonesia non è, per il lavoro dei minori, un’isola particolare di infelicità: “il numero dei bambini lavoratori nel mondo oscilla tra i 100 e i 200 milioni”, afferma L’Unicef basandosi su varie fonti, in particolare gli organismi non governativi presenti nelle aree più depresse del mondo.[4]  L’Ufficio Internazionale del Lavoro, nel citato studio preparatorio della Conferenza ministeriale tenuta a Ginevra il 12 giugno 1996 [5] ha stimato, adottando una metodologia di indagine sperimentale [6], che nel mondo circa 73 milioni di bambini tra i 10 e i 14 anni lavorano regolarmente. Si tratta, evidenzia l’Ente dell’ONU, del 13,2% di tutti i bambini di questa fascia di età. “Ma questa è solo una parte della realtà” - afferma Assefa Bequele dell’ILO - “non esistono statistiche attendibili sui lavoratori al di sotto dei 10 anni, anche se sappiamo che il loro numero è significativo. E lo stesso si deve dire dei giovani tra i 14 e i 15 anni, sui quali esistono pochi dati.. Se potessimo contarli tutti, anche le ragazze che svolgono lavori casalinghi a tempo pieno, il numero totale dei bambini che lavora arriverebbe a centinaia di milioni” [7]

I baby-lavoratori sono distribuiti, come risulta dalla figura 2, un po’ ovunque nel mondo. La maggiore diffusione del fenomeno si ha in Asia, Africa, America Latina, ove costituiscono tra il 9 e il 27 % della gioventù locale, ma il fenomeno non è sconosciuto neanche in Europa e in America del Nord. Qui le stime parlano di circa un bambino ogni cento impegnato in attività economiche. Nei paesi maggiormente sviluppati i lavoratori -bambini si concentrano per lo più nelle fascie deboli della popolazione: tra i figli degli immigrati dell'ultima generazione, nelle minoranze etniche (negli Usa principalmente ispanici e popolazione di colore), tra le famiglie monoreddito.

 

Figura 2: Percentuale media di bambini che lavorano per continente

 

 

 

La distribuzione percentuale su base continentale cela però enormi differenze esistenti tra nazioni a volte vicine geograficamente, come si vede nella tabella 1. In Africa, ad esempio, il lavoro minorile interessa la maggioranza - o quasi - degli adolescenti nelle nazioni della fascia centrale, mentre è pressochè assente in Sud Africa e decisamente meno diffuso nelle nazioni del Nord. Non dissimile la situazione in Asia e in Sud America.

 
Tabella 1: Percentuale di bambini tra i 10 e i 14 anni impegnati in attività lavorative

 

 

 


Africa

 

Mali

54,53

Burkina Faso

51,05

Burundi

48,97

Uganda

45,31

Niger

45,17

Ethiopia

42,30

Kenya

41,27

Senegal

31,36

Zimbabwe

29,44

Nigeria

25,75

Cameroon

25,25

Côte d'Ivoire

20,46

Zambia

16,27

Ghana

13,27

Egypt

11,23

Morocco

5,61

Algeria

1,63

South Africa

0,00

Tunisia

0,00

Media

26,78

 

 

Asia

 

Bhutan

55,10

East Timor

45,39

Nepal

45,18

Bangladesh

30,12

Turkey

24,00

Yemen

20,15

Pakistan

17,67

Thailand

16,22

India

14,37

China

11,55

Indonesia

9,55

Viet Nam

9,12

Philippines

8,04

Syrian Arab Rep,

5,78

Iran

4,71

Malaysia

3,16

Iraq

2,95

Jordan

0,68

Hong Kong

0,00

Japan

0,00

Saudia Arabia

0,00

Media

15,42

Europa

 

Portugal

1,76

Albania

1,11

Italy

0,38

Hungary

0,17

Romania

0,17

Media

0,72

 

 

America Latina

 

Haiti

25,30

Guatemala

16,22

Brazil

16,09

Dominican Rep,

16,06

Bolivia

14,36

Nicaragua

14,05

Paraguay

7,87

Mexico

6,73

Colombia

6,62

Costa Rica

5,48

Argentina

4,53

Peru

2,48

Uruguay

2,08

Venezuela

0,95

Chile

0,00

Cuba

0,00

Media

8,68

 

 

Oceania

 

Solomon Islands

28,89

Papua New Guinea

19,31

Polynesia

3,67

Media

17,29

FONTE : Nostra elaborazione su dati ILO, 1995



 

 

Ma le statistiche sono incerte e non e' escluso che, laddove il fenomeno sembri meno esteso, questo non dipenda soltanto dall'assenza di controlli da parte delle autorità locali. Inoltre, il dato percentuale diffuso dall'ILO rischia di far non far apparire in tutta la sua gravità alcune situazioni nazionali   L'India è un caso emblematico in questo senso. I mini-lavoratori, che in percentuale costituiscono "soltanto" il 14,4% dei giovani tra i 10 e i 14 anni, sono un numero altissimo: "il governo dice 17 milioni, l'ILO 45, ma per Swami Agnivesh del Fronte per la  liberazione dal lavoro schiavistico alla fine del 1994 erano circa 60" [8]. L'apporto del lavoro dei bambini all'economia nazionale è tutt'altro che trascurabile, in quanto si calcola che ad essi sia dovuto circa il 20% del prodotto interno.

 

3. I LAVORI CHE SVOLGONO

 

I bambini svolgono un po' tutti i lavori, anche se esistono pattern specifici, legati alle specializzazioni economiche delle varie nazioni e, ancor di più, alle caratteristiche produttive locali.  L'impegno nei lavori agricoli e nella cura domestica è l'attività prevalente in Africa, America del Sud e Asia, ma bambini si trovano spesso nelle miniere e nelle cave di tutto il mondo, negli eserciti e nelle bande armate che proliferano in Africa - ma anche gli irarniani, durante la guerra con l'Iraq, usarono i bambini come commandos suicidi sui campi minati. L'uso di bambini, sin dall'età di sei anni, è documentato nelle piantagioni di tè e nelle fabbriche di tappeti pregiati in Pakistan, Bangladesh, Nepal e India, nelle concerie egiziane - dove si stima siano impiegati quasi un milione mezzo di minori tra i 6 e 14 anni - nelle industrie di giocattoli e abbigliamento della Cina, Thailandia e Indonesia [9].  Una delle tipologie più agghiaccianti del lavoro minorile rimane comunque lo sfruttamento dei corpi.  La conferenza internazionale tenuta a Stoccolma a fine agosto del 1996 ha drammaticamente messo in risalto sia l'estensione della prostituzione minorile - che interessa le bambine ma anche i bambini - sia la crescita del turismo sessuale, un business in forte espansione controllato quasi sempre da potenti organizzazioni criminali ramificate in tutto il mondo. Sin qui i paesi poveri del mondo. Nei paesi industrializzati il lavoro minorile è forse un fenomeno meno umiliante, ma che denota sempre uno stato di sfruttamento. Negli Stati Uniti, ad esempio, l'aumento del lavoro dei bambini è "legato allo sviluppo del terziario, la crescita degli impieghi part time e alla ricerca di una manodopera più flessibile, meno cara e con un potere contrattuale quasi nullo". [10]

 

 

 

4. PERCHE' LAVORANO

 

E' facile affermare che i bambini, ovunque lavorino, lo fanno per bisogno economico. I bisogni possono essere vitali, come accade nella grande maggioranza dei paesi in via di sviluppo, o indotti e edonistici, come è invece tipico di molti minori che lavorano -magari saltuariamente durante le vacanze scolatiche - nei paesi europei e in America del nord.  Tutti gli osservatori internazionali su un punto però concordano: è la povertà la motivazione principale che porta i bambini al lavoro. Nonostante ciò, con la loro attività, non riescono in alcun caso a far uscire la famiglia d'origine dallo stato di bisogno: un bambino può produrre quanto un adulto, ma viene in ogni caso compensato per un terzo di quanto gli spetterebbe. Secondo l'Unicef, il loro apporto aumenta il potere d'acquisto della famiglia soltanto del 10- 20 %. Ma lavorare ha anche un'altra conseguenza, quella di limitare l'accesso ai sistemi educativi. La tabella 2, in proposito è chiarissima: laddove più esteso è il fenomeno del lavoro minorile, sono anche più bassi i livelli medi di scolarizzazione. Ciò ha una conseguenza: l'assenza di formazione scolastica e spesso l'analfabetismo renderà i bambini lavoratori futuri adulti con pochissime speranze di miglioramento socio-economico e, spesso, di vita. Questo si rifletterà inevitabilmente sulle aspettative di miglioramento dell'intera nazione.

 

 

Tabella 2: Lavoro minorile e alcune variabili socio-economiche

 

Popolazione

(milioni)

Speranze di vita

(anni)

Popolazione

<15 anni

(%)

Scolarizzazione 12-17 anni

(%)

Bambini 10-14 anni che lavorano

(%)

AFRICA

728,3

54

44

< 50

26,8

AMERICA SUD

387,3

68

34

> 60

8,7

AMERICA NORD

386,5

75

25

> 90

1 (?)

ASIA

3029,0

65

31

< 40

15,4

EUROPA

568,8

74

20

> 80

0,7

OCEANIA

28,5

73

25

< 25

17,3

 

NB: La tabella si riferisce non a tutto il continente, ma alle sole nazioni considerate nello studio dell’ILO del 1995

 

 

Una parte di colpe - forse le maggiori - le hanno i governi, laddove non attuano meccanismi di salvaguardia sociale per i poveri. Il livello di povertà globale, infatti, non porterebbe automaticamente all'espansione del lavoro minorile. Mani Tese, in un suo bel rapporto, analizza il caso di due nazioni povere dove i bambini non lavorano: il Kerala, nel sub continente indiano e Cuba. Nel primo caso è esistito, sin a poco tempo fa, un governo "sensibile verso i temi sociali e impegnato a garantire a tutti il soddisfacimento dei bisogni fondamentali." Riformando l'agricoltura, aumentando i salari minimi e investendo nell'istruzione obbligatoria il Kerala si trova oggi in una situazione opposta rispetto alla vicina India. Anche il secondo esempio è esemplare della eluttabilità del lavoro minorile: " nonostante le difficilissime condizioni economiche, sono state mantenute le conquiste sociali e là [a Cuba] i bambini non lavorano" [11]  Contenere il fenomeno del lavoro dei bambini non sarebbe quindi impossibile, neanche per paesi estremamente poveri.  Ma molti governi sembrano tollerarlo - o quanto meno non reprimerlo - anche in considerazione del fatto che la disponibilità di manodopera a bassissimo costo e senza diritti rende competitivo il sistema economico nazionale e contribuisce ad attrarre capitali dalle imprese delle nazioni industrializzate e ricche. Per rendersi conto di questo "vantaggio" basta un semplice raffronto sul costo del lavoro in alcune nazioni (figura 3): la mondializzazione dell'economia, spesso sbandierata come un vantaggio per i popoli, trova la sue vittime innocenti nei bambini. E ciò succede non solo in Asia o in Africa. Le recenti ristrutturazioni nelle imprese americane, ad esempio, hanno infoltito le file dei working poor: lavoratori che, dopo aver perso un impiego, hanno dovuto ripiegare su occupazioni peggio retribuite, spesso al di sotto delle soglia di povertà. Così, secondo l'Unicef, negli Stati Uniti oggi l'11% dei bambini che vivono con entrambi i genitori sono poveri, come anche il 59% di quelli che hanno la sventura di vivere solo con il padre o la madre. [12]  E' una situazione che, in assenza di interventi strutturali, non sembra destinata a migliorare nell'immediato futuro: lo dimostra la lotta politica che si è accesa tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti sulla questione dell'innalzamento - richiesto dai sindacati - della paga oraria minima da 4 a 5,75 dollari l'ora. E le parti in causa sembrano dimenticare che, anche se rideterminata, quella paga relega in ogni caso una buona percentuale di famiglie al di sotto della soglia di povertà.

 

 

Figura 3 :Al costo di un lavoratore europeo, quanti lavoratori si assumono in altri Paesi ?

 

 

 

 

5. UN TENTATIVO DI CLASSIFICAZIONE

 

 

Più che con reazioni emotive il lavoro dei bambini deve essere affrontato in maniera pragmatica, tentando di individuarne le caratteristiche di fondo e, di qui, partire in un processo di revisione degli interventi - nazionali e internazionali - attuati.  E' consigliabile, in definitiva, modellizzare una realtà che, come visto sinora, è tutt'altro che univoca e monocasuale. Una prima operazione indispensabile sta nella distinzione, come fatto nella figura 4, delle diverse forme di lavoro secondo il loro livello di volontarietà e  legalità.

 

Figura 4: Classificazione funzionale del lavoro dei bambini

 

consenziente

Tipo di  induzione al lavoro

forzato

illecita

Tipo di attività

illegale

 

 

Nella nostra accezione si potrà parlare di lavoro consenziente quando questo è svolto, magari pur senza reali alternative da parte del minore, di comune accordo tra il minore e la famiglia di origine, per contribuire al sostentamento di questa o al soddisfacimento di bisogni dello stesso minore. Il lavoro forzato, al contrario, si ha quando il bambino viene ceduto, per lo più per far fronte a debiti contratti dalla famiglia, al creditore o a un mercante di braccia, che lo allontana dalla famiglia, lo riduce in schiavitù e lo impiega nelle attività più disparate. Quest'ultima è una condizione tutt'altro che rara nei paesi del terzo mondo: secondo Mani Tese, un'organizzazione non governativa, il fenomeno del lavoro forzato o in schiavitù, nel solo Pakistan, coinvolge oltre 8 milioni di bambini. [13]  Una spiegazione merita anche la distinzione tra lavoro legale e illegale. Per attività illecite si intendono quelle che infrangono soltanto i divieti sul lavoro - minorile o in quanto tale: assistenza, contratti, retribuzioni minime ecc. - che gli Stati si sono dati.  Le attività illegali ricadono invece nella sfera dei lavori perseguibili penalmente: prostituzione, manovalanza nelle fila della criminalità, partecipazioni a bande armate e eserciti irregolari.

L'unione delle due dimensioni permette di analizzare il lavoro dei bambini differenziandolo secondo la gravità che esso assume e, quindi, di elaborare soluzioni articolate e realmente applicabili nei diversi casi. E' intuitivo, infatti, che diversi sono gli interventi richiesti per arginare il lavoro di un minore che, per il sostentamento della famiglia, lascia la scuola e si dedica alla cura dei fratelli più piccoli - permettendo così alla madre di lavorare fuori casa - e quello di un bambino reso in schiavitù e indotto allo spaccio di sostanze stupefacenti. In un caso la soluzione è strettamente legata al sistema di welfare delle Nazioni - che nel terzo mondo è completamente da costruire-, nell'altro assume un ruolo chiave la lotta alla criminalità organizzata - associata alla limitazione  dello stato di bisogno del minore e della sua famiglia di origine.

 

 

 

6. CENNI CONCLUSIVI

 

Povertà estreme, tradizioni familiari, carenza di sistemi scolastici, ricerca della competizione sui costi della manodopera, sfruttamento selvaggio, assenza di sistemi di welfare sono le cause che, congiuntamente, spiegano l'enorme estensione del lavoro dei bambini nelle nazioni del terzo e quarto mondo. A poco servono l'esecrazione o le buone intenzioni dell'opinione pubblica internazionale, come dimostra il caso del boicottaggio, messo in atto da alcune grandi compagnie americane, delle aziende tessili del Bangladesh che impiegavano manodopera al di sotto dei quindici anni. Nota l'Unicef: "le pressioni esercitate dai consumatori americani e europei hanno significato in concreto il licenziamento di 55.000 bambini nel settore dell'abbigliamento".  Una indagine svolta dallo stesso Unicef in collaborazione con le ONG operanti nel paese asiatico ha rivelato che, per loro, le cose erano cambiate soltanto in peggio: "pochissimi erano tornati a scuola; metà aveva trovato una nuova occupazione, e il resto era in cerca di lavoro. L'espulsione dei bambini - manodopera sottopagata rispetto agli adulti - non aveva creato nuovi posti di lavoro per gli adulti disoccupati". Perdipiù "i bambini che avevano trovato una nuova occupazione vivevano in condizioni peggiori rispetto a prima". [14]

Vietare incondizionatamente può essere controproducente, insomma. Questo è il messaggio che emerge anche da uno studio condotto dall'Università di Bombay sulle condizioni sanitarie degli adolescenti. Affermano i medici: "I bambini che lavorano sono più sani di quelli che non lavorano perchè mangiano" [15].

Una visione condivisa del resto dalle molte organizzazioni non governative che affrontano il problema con propri presidi nelle nazioni povere. Nandana Reddy, presidente dell'IWGCL, che ha organizzato all'inizio del 1996 a Bangalore, tra l'ostilità delle organizzazioni ufficiali,  il congresso asiatico dei bambini lavoratori afferma: "non è sufficiente dire: basta con i bambini al lavoro. E poi cosa mangiano ? Nei villaggi dell'interno [dell'India], dove non esistono strutture sociali, nè scuole, il lavoro è l'unica via d'uscita". La sua proposta è di una semplicità disarmante: regolamentare il lavoro minorile, restituendo ai mini lavoratori alcuni diritti tipici della loro età. Come la signora Reddy la pensava Iqbal Masih, il piccolo tessitore di tappeti che era divenuto il sindacalista e il portavoce dei bambini schiavi del Pakistan. Prima di essere ucciso a soli 12 anni - un omicidio commissionato da chi ne temeva le idee - Iqbal aveva detto, a Stoccolma, davanti alle telecamere del mondo intero: "Da grande faro' l'avvocato e continuero' a lottare perchè i bambini non lavorino troppo".


 

 



[1]  Emile Zola, Germinale, Edizioni Frassinelli, s.l., 1996, pag. 13

 

[2] ILO, Child labour: What is to be done ?, Ginevra, 12 giugno 1996, pag. 28

 

[3] Ivi, pag. 29

 

[4] “Dossier: I lavoratori italiani per i bambini del mondo”, in Il Mondodomani. Mensile del Comitato Italiano dell’UNICEF, n. 4, aprile 1996, pag. 16.

 

[5]  ILO, Child labour: What is to be done ?, Ginevra, 12 giugno 1996

 

[6]  ILO, Child Labour Surveys. Results of methological experiments in four countries in 1992-93, Ginevra, 1996

 

[7]  ILO, Child labour Today: Facts and Figures, comunicato stampa, Ginevra, 10 giugno 1996. E' evidente, nelle parole della funzionaria dell'ILO, la distinzione, sviluppata originariamente dall'IWGCL (International Working Group on Child Labour), tra child labour, cui viene associato il concetto di lavoro produttivo e sfruttamento del minore, e child work, una forma più sfumata di attività, non necessariamente esacrabile sotto il profilo sociale.

 

[8] Mani Tese, Iqbal aveva 150 milioni di fratelli, dossier a cura di Marinella Correggia e Silvia Ferrari, Milano, gennaio 1996, pag. 4

 

[9] Spesso quei capi di vestiario e quei giocattoli arriveranno ai consumatori con marche famose. Quando, nel 1993 centinaia di bambini morirono nell'incendio di due fabbriche di giocattoli in Thailandia e in Cina, si scoprì che una delle due lavorava per conto della Chicco (Ivi, pag. 5)

 

[10] La Repubblica, 10 giugno 1996, pag. 11

 

[11] Ivi, pag. 7

 

[12] Unicef, Il progresso delle nazioni, New York, 1996

 

[13] Mani Tese, cit., pag. 6

 

[14] Unicef, "Dossier bambini al lavoro", in Il Mondodomani, n. 5, maggio 1995, pag. 19

 

[15] Naidu, Parasuramam, Studio sui bambini operai nell'area di Bombay, 1985.