INTERVENTO ALLA PRESENTAZIONE DELLE RICERCHE FP-ISAM SUI LAVORATORI NEL PUBBLICO IMPIEGO.

 

 

di Patrizio Di Nicola

(Coordinatore scientifico di LASER - Laboratorio sulla sindacalizzazione e la Rappresentanza - dell'Ires Nazionale.)

 

 

 

 

1.          E' poco frequente che un sindacato si interessi, in termini scientifici, dei propri iscritti. E' addirittura raro che questo interesse vada, anziche' nella direzione dei grandi numeri, verso quella della comprensione degli atteggiamenti e delle aspettative, individuali e collettive. Nella sua introduzione Gianni Principe diceva che cio' avviene in Cgil perchè questa organizzazione vede i suoi iscritti come se fossero un "blocco unico", granitico. E forse questa percezione non è del tutto falsa. A mio avviso, infatti, nel corso del tempo, ad un processo di de-sindacalizzazione, se ne è affiancato un secondo, di auto-selezione che, per inciso, continua tutt'ora.  Tentero' poi di spiegare su quali basi poggio le mie affermazioni.

 

2.          Per quali motivi in Cgil esiste un problema di strategia della conoscenza verso i propri iscritti (e, in senso piu' vasto, verso i lavoratori)?  La causa principale puo' essere riassunta, molto semplicemente, seguendo questo filo logico: i sindacalisti spendono molta parte del loro tempo con i lavoratori, in riunioni, assemblee, od altre occasioni di lotta e di incontro. Quindi assumono di conoscere bene quel che i lavoratori vogliono, quel che pensano, le loro richieste e le loro aspettative. Ne discende, per estensione logica, che le ricerche svolte in questa "riserva di caccia" sono considerate un opzional da intellettuali. Belle, prestigiose, possono magari essere "sponsorizzate" dal sindacato stesso, ma naturalmente sono inutili per l'azione quotidiana. Con cio' non voglio negare che la frequentazione del mondo del lavoro porti ai funzionari sindacali validissimi legami, soprattutto ideali, con i loro rappresentati. Quel che pero' mi sembra altrettanto evidente e' che queste conoscenze si basano su quello che noi sociologi chiamiamo un "campione distorto".  E' infatti sin troppo facile dimostrare che i frequentatori di riunioni e di assemblee costituiscono un gruppo troppo poco affidabile per poterlo eleggere allo status di "panel" per sondare gli umori dei lavoratori. O anche soltanto degli iscritti.

 

3.          Vengo ora alle due ricerche che qui sono state presentate e che, entrambe, vanno controcorrente rispetto a quanto abbiamo detto poc'anzi. Dalle indagini di T. Pipan e G. Sasso emerge con chiarezza un fenomeno interessante, di cui, forse, eravamo consci: i pubblici dipendenti, per molti versi, sono migliori della Pubblica Amministrazione. O, quantomeno, sentono piu' del loro datore di lavoro lo stimolo al cambiamento, sono pronti a rimettersi in discussione. La routine quotidiana, infatti,  e' sopportabile se motivata dal senso dell'utilita' sociale del proprio lavoro. Questo mi pare un secondo fenomeno importante. Si pensi che, in una famosa ricerca svolta nel 1927, Henri De Man spiegava l'esistenza della "gioia nel lavoro" (la soddisfazione, diremmo oggi) proprio con la congiunzione tra lavoro e senso di utilita' sociale dello stesso. I lavori utili appagano di piu' rispetto a quelli di cui non si comprende lo scopo.  Al contempo, però, dalla ricerca di Tatiana emerge anche l'insofferenza per quel grande sistema tayloristico che e' la Pubblica Amministrazione: produrre certificati puo' essere, per alcuni versi, più alienante che non  essere legati alla catena di montaggio. Anche l'informatica, applicata a questi lavori, anziche' liberare il lavoro umano, puo' finire per generare un surplus di taylorismo.

 

4.          Vorrei parlare ora all'aspetto delle due ricerche che mi ha interessato di piu', quello che riguarda gli atteggiamenti verso il sindacato. Non mi stupisce l'affermazione di T. Pipan, che i lavoratori intervistati hanno una visione generalmente negativa delle loro organizzazioni di rappresentanza.  Uno degli argomenti piu' spesso utilizzati per spiegare la non adesione e' che il sindacato si e' "fatto sistema". Gli iscritti, al contrario, criticano di piu' la frammentazione, la concorrenza tra sigle sindacali. Quasi identiche le conclusioni cui giunge anche la ricerca di Sasso. Il quale, pero', aggiunge che poi, in fondo, i giudizi sull'operato del sindacato diventano positivi se ci si concentra su specifiche decisioni, su problemi delimitati.

 

5.          Perche' allora un lavoratore pubblico si iscrive al sindacato? E' anzitutto certo che lo faccia perche' ha veramente bisogno di "protezione" o, per dirla in termini più nobili, di tutela.  La indispensabilità della rappresentanza e' il dilemma dell'impiegato pubblico in ogni Paese del mondo: egli non ha controparte un padrone, ma una "istituzione globale", pervasiva, che tenta di codificare, spersonalizzandolo, ogni aspetto minuto della propria prestazione. Questo genera, d'altra parte, anche quel fenomeno che evidenziava il Prof. Battistelli:  nel dirigente si cerca la dote umana, non quella professionale. Cio' e' spiegabile soltanto se si pensa che nella P.A., a differenza che in qualsiasi impresa operante in condizioni di mercato, non esiste la funzione del personale. Cosi' il dirigente è chiamato a supplire a questa situazione. E se ha doti umane, allora verra' anche accettato e stimato dai suoi sottoposti.

Ma nell'adesione al sindacato, alla Cgil in particolare, vi e' anche dell'altro.  All'Ires, nel corso della nostra ricerca sulle determinanti della sindacalizzazione, abbiamo cercato di capire perche' in Italia alcune zone avessero una densita' di iscritti, rispetto alla popolazione attiva, tanto alta ed altre, a parita' di condizioni strutturali del territorio, la avessero bassissima. Fino ad un certo punto, ragionando soltanto su variabili di tipo economico (i redditi, l'occupazione, la disoccupazione, ecc.) abbiamo brancolato nel buio. Non vi e' nulla che riesca a spiegare in maniera convincente i differenziali della sindacalizzazione nelle  95 province italiane. Poi abbiamo affiancato ai dati sulle adesioni quelli relativi ai risultati elettorali. Abbiamo cosi' individuato il determinante principale delle adesioni. La correlazione tra le due grandezze era fortissima. E ciò non soltanto utilizzando i dati elettorali recenti, quelli dell'aprile 1992, ma anche andando indietro nel tempo. A partire dal 1979 la relazione esistente tra le due serie diviene sempre piu' forte, a dimostrazione che l'adesione che noi abbiamo definito "ideale" o "per appartenenza" e', come ho affermato all'inizio del mio intervento, il frutto di un processo di selezione e di radicalizzazione. Vorrei ancora aggiungere che questo andamento, verificato sull'insieme dei lavoratori, e' anche piu' marcato se consideriamo i soli dipendenti dei servizi. Qui, piu' ancora che nell'industria o tra i lavoratori agricoli, quello ideale rappresenta "lo stimolo" per eccellenza che giustifica l'adesione. Come e' possibile spiegare questo fenomeno?  Forse, maliziosamente, potremmo pensare che la Cgil, non trovando per i pubblici dipendenti un modello sindacale da offrire che non fosse quello industriale, gli ha offerto la sola possibilità di "riconoscersi idealmente" con l'organizzazione. E, su tale base, ha di fatto selezionato i propri iscritti. Anche Sasso, nelle sue elaborazioni, giunge alle mie stesse conclusioni, laddove afferma che esiste una notevole vicinanza ideologica e culturale tra l'iscritto e il sindacato. Ma attenzione: non e' detto che questo fenomeno sia di per se' positivo. Credo anzi che oggi, con il crollo delle ideologie (e speriamo che il crollo non si propaghi anche alle idee) questo rappresenti per la Cgil un problema importante, forse quello da risolvere prioritariamente per riequilibrare la sua rappresentativita' nel mondo del lavoro.

 

6.          Poche ultime battute sulla questione, qui dibattuta, del rapporto con gli utenti dei servizi pubblici. Alcuni dei presenti hanno affermato che le elaborazioni sindacali nel pubblico impiego debbono necessariamente partire dal punto di vista degli utenti. Questo mi trova d'accordo soltanto in parte, in quanto mi sembra un tentativo per scaricare tutto sulle spalle dei lavoratori.  In realtà credo che nella pubblica amministrazione vadano riequilibrati i termini del discorso sindacale: si puo' giustamente pretendere che le organizzazioni dei lavoratori (ma ancor di più i lavoratori stessi) abbiano una cultura dell'utente, ma non che qualsiasi rivendicazione parta sempre ed esclusivamente dall'utente. Sarebbe come chiedere ai sindacati dei metalmeccanici di portare avanti le loro lotte in nome degli automobilisti. Il sindacato, non dimentichiamolo, e' una libera associazione di lavoratori. Per essere brutali potremmo anche ricordare che i sindacalisti sono pagati da questi ultimi, non dagli utenti. E, quindi, per conservare un minimo di dignità professionale, di quelli debbono interessarsi prioritariamente. La tutela dei diritti dell'utente può costituire una giusta rivendicazione per il sindacato, ma è la missione aziendale dell'Amministrazione pubblica.  Non dobbiamo nasconderci che, inevitabilmente, vi saranno delle occasioni in cui il cittadino-lavoratore viene a trovarsi in contrasto con il cittadino-utente.  In quei casi ognuno, sindacato e Amministrazione, deve indossare i suoi panni e vestirli sino in fondo. Ogni altra soluzione è impraticabile.   Se è vero, come credo, che la via per migliorare i servizi pubblici dovrà passare per la loro riconduzione al mercato, allora il corollario non potrà che essere questo: creare parti e controparti.  In tal modo, forse, il sindacato non diverrà "sistema".

 

 

(Giugno 1993)