SINDACALIZZAZIONE E COMPORTAMENTO ELETTORALE.
UN
ESAME DEI RISULTATI DELLE ELEZIONI POLITICHE DEL 1992 E DEL 1994.
(di Patrizio Di Nicola)
Aprile 1994
Patrizio Di Nicola
Sociologo, ricercatore presso l'IRES -
Istituto Ricerche
Economiche e Sociali,
ROMA
Collaboratore della Cattedra di
Sociologia Industriale, Università
"La Sapienza" di Roma
1. PREMESSA ([1])
Tra i comportamenti sociali più
critici da esaminare vi è, senza dubbio, quello elettorale. E ciò per una
molteplicità di motivi, che vanno al di là della naturale ritrosia, grande
scoglio delle indagini empiriche in questa materia, nel dichiarare apertamente
la destinazione del proprio voto. Un primo problema, come notano due eminenti
studiosi come Mannheimer e Sani, è costituito dal fatto che nell'atto del voto
"confluiscono motivazioni razionali, componenti viscerali, ricordi di ciò
che è stato, speranze e preoccupazioni per il futuro" ([2]). In secondo luogo va detto che
il comportamento elettorale può venire esaminato considerando il cittadino come
membro di più gruppi, spesso con interessi e riferimenti differenti: si può
essere lavoratori dipendenti e, al contempo, proprietari di case, oppure liberi
professionisti e cattolici praticanti. E' evidente che i risultati delle
analisi cambino con il cambiare del gruppo che si prende a riferimento.
Storicamente lo studio sui
comportamenti elettorali si è indirizzata lungo due direttrici fondamentali ([3]). La prima cerca di spiegare le
ragioni del voto (e principalmente i suoi differenziali intra-nazionali)
tramite analisi aggregate che utilizzano variabili ecologiche (le condizioni
economiche, storiche e demografiche delle diverse aree geografiche, ad esempio).
La seconda, centrata sull'individuo, si avvale di sondaggi, inchieste, panel
permanenti e, recentemente, dello strumento degli exit polls. ([4]).
Ai fini del nostro studio, di tipo
ecologico, abbiamo considerato una sub-specie
dell'elettorato italiano, quello degli iscritti ai sindacati confederali. La
domanda che ci siamo posti è se, nelle aree geografiche ove è più forte la loro
concentrazione, risultino avvantaggiate alcune formazioni politiche anzichè
altre. Si tratta, naturalmente, di cercare una conferma anzichè una scoperta.
E' noto, infatti, che la propensione a aderire ad un sindacato è maggiore
qualora l’individuo si senta parte di un contesto sociale anzichè di un altro;
l’iscrizione, inoltre, anche quando viene giustificata razionalmente dai
soggetti richiamando i concetti della tutela e dei meccanismi di difesa,
presuppone sempre una precisa scelta di valore ([5]). Si può dire, in definitiva,
che, in misura maggiore o minore, iscriversi a un sindacato è anche l’espressione di appartenenza ad
una specifica sub-cultura. ([6]). Ma va anche detto che le stesse
sub-culture sono soggette a mutamenti. Ciò che costituiva un valore per una
generazione può perdere di importanza per quelle successive. A questo vanno
aggiunte le profonde trasformazioni che, per tutti gli anni Ottanta, hanno
caratterizzato la membership dei
sindacati confederali ([7]).
In quel periodo, infatti, si è
assistito a vari fenomeni concomitanti: la riduzione della rappresentatività
tra i lavoratori, sostituiti nelle Confederazioni dai pensionati; la
meridionalizzazione delle adesioni; l'aumentato peso, nella geografia della sindacalizzazione,
degli iscritti provenienti dal settore pubblico. Tutto ciò autorizza, a nostro avviso, il tentativo di rileggere
il comportamento elettorale degli iscritti ai sindacati, specialmente
considerando che, proprio negli anni più recenti sembra emergere una frattura
tra "i luoghi" della tutela e
quelli dell'identità. In altre parole tendono a divergere, negli iscritti
ai sindacati, i soggetti ai quali si chiede assistenza sul posto di lavoro e
quelli nei quali ci si riconosce politicamente([8]). E' lecito, in definitiva,
domandarsi se sia possibile confermare il persistere, in Italia, di una relazione diretta tra voti ottenuti
dai partiti di sinistra e alti livelli di
sindacalizzazione.
2.METODOLOGIA E FONTI UTILIZZATE
Lo studio di cui presentiamo i
primi risultati non è, come è stato detto, supportato da rilevazioni
individuali dei comportamenti elettorali. Esso poggia invece su elaborazioni
condotte tramite dati "secondari": la densità di sindacalizzazione (considerata
sia come tasso - rapporto tra
iscritti e lavoratori dipendenti - sia come indice
- rapporto tra sindacalizzazione totale e numerosità del corpo elettorale-)
verrà messa in relazione con le performance
dei partiti alle elezioni politiche del 1992 e a quelle appena concluse. Nel
primo caso utilizzeremo soltanto elaborazioni condotte sui tassi di
sindacalizzazione CGIL, ma con un'ampia disaggregazione territoriale (base
provinciale); nel secondo caso, invece, opereremo sugli aderenti ai tre
sindacati confederali utilizzando i dati elettorali regionali. ([9]). In entrambi i casi abbiamo
preso in considerazione, da soli o in varie aggregazioni, i maggiori partiti
nazionali. Le fonti utilizzate sono la banca dati dell'Osservatorio IRES sulla sindacalizzazione e la rappresentanza
(iscritti e tassi di sindacalizzazione
a livello provinciale e regionale) e le pubblicazioni del Ministero
dell'Interno - Servizio elettorale (percentuali di voto e votanti).
3. IL COMPORTAMENTO ELETTORALE
DEGLI ISCRITTI CGIL NEL 1992
Nel 1992 i lavoratori dipendenti
iscritti alla CGIL sembrano aver contribuito non poco ai risultati ottenuti da
alcuni partiti di sinistra. I dati
sperimentali mostrano infatti
l'esistenza di una forte relazione positiva ([10]) tra il complesso dei voti
guadagnati da PDS, Rifondazione Comunista, PSI, Radicali, Verdi e Rete e il
tasso di sindacalizzazione. L'analisi condotta tra le due serie di dati per
l'insieme delle province fornisce infatti come risultato un coefficiente di
correlazione pari a 0,8 (il campo di variazione del coefficiente può oscillare
tra 1 e -1) con una significatività statistica (0,05) tale da rendere
improbabile l'attribuzione del risultato a fattori casuali. Ciò, a prima vista, potrebbe farci
concludere che, se la scelta del partito per il quale votare fosse dipesa
soltanto dall'iscrizione o meno alla Cgil, buona parte delle variazioni nel
voto delle 94 province considerate dovrebbero venire "spiegate" con
l'esistenza o meno di una ampia base sindacalizzata. In realtà (ricordiamo che stiamo privilegiando una sola angolazione di analisi) ciò
indica soltanto che le specifiche
sub-culture politiche tipiche delle varie province italiane continuano
ad influenzare nella stessa direzione sia il voto sia la sindacalizzazione.
E' però anche interessante
analizzare l'apporto dato dai singoli partiti al risultato complessivo della
regressione (che riguardava l'insieme della sinistra), così come verificare la
relazione esistente verso i partiti che non si pongono in quella parte dello
schieramento parlamentare. A tal fine è stata preparata la figura 1, ove sono
riportati i coefficienti di correlazione tra tassi di sindacalizzazione e
risultati elettorali di alcune formazioni.
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figura
1
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E' evidente l'esistenza di una
significativa relazione positiva tra sindacalizzazione e voti ottenuti da PDS e
Rifondazione Comunista e un'altrettanto significativa relazione inversa qualora
si considerino le schede elettorali andate a favore della Lega e del
Quadripartito (che all'epoca era al governo).
Per le altre formazioni, invece, non è possibile individuare nessuna
connessione di tipo lineare. Questo ci
ha permesso di semplificare le analisi successive, che sono state centrate
sulla relazione esistente tra risultati elettorali delle due formazioni che si
richiamano all'ex PCI e tassi di sindacalizzazione differenziati per settore di
attività economica. Tale disaggregazione permette di prendere in considerazione
l'influenza del "fattore politico" nei diversi insiemi di lavoratori
aderenti a uno stesso sindacato. E' opportuno considerare, infatti, che, anche
in una organizzazione fortemente connotata politicamente quale la Cgil, è
riduttivo pensare che tutti gli iscritti (o gran parte di essi) aderiscano in
quanto spinti da sentimenti di "appartenenza" ([11]). E' realistico, al contrario,
ipotizzare che l'adesione "ideale" venga, lentamente ma
inesorabilmente, rimpiazzata da modelli più razionali, i quali sottendono anche uno "scambio" tra
adesione e fornitura di servizi, spesso erogati dai soggetti sindacali in
condizione di monopolio di fatto ([12]). E che questa “razionalità”
possa essere più o meno spiccata per diversi insiemi di lavoratori.
La seconda analisi (figura 2)
mostra una sostanziale uniformità (correlazione positiva sempre superiore a
0,6) nei settori extra-agricoli e tra i pensionati (il che sembra contraddire
un loro supposto modello di adesione utilitaristico). Diverso, invece, è
l'andamento del comparto agricolo in cui, pur esistendo un altissimo tasso di
sindacalizzazione ([13]), non è possibile individuare,
almeno nell'anno considerato, alcuna relazione significativa tra densità
sindacale e comportamento elettorale. Un discorso a parte meritano invece i
risultati ottenuti considerando il solo terziario. Qui la relazione esistente è
ancor più forte che non nell'industria o nell'insieme dei settori. Ciò stimola
la ricerca di una spiegazione che, ancora una volta, si fonda sui modelli di
adesione al sindacato e sulle sub-culture: la Cgil ancora oggi rimane,
nonostante le modifiche subite, il sindacato industriale per antonomasia ([14]). La sua "offerta di
tutela" (collettiva - tramite le
elaborazioni contrattuali ed individuale
- i servizi) è costruita su paradigmi industrialistici, e quindi soltanto
“adattati” alle esigenze di chi opera nel terziario pubblico e privato. Questi
lavoratori, quando aderiscono, lo fanno probabilmente soprattutto per ragioni
di identità e contiguità politica. Il che potrebbe costituire una buona ipotesi
di partenza per spiegare il loro alto grado di consenso elettorale verso la
sinistra.
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figura
2
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4. LE NOVITA' DELLE RECENTI
ELEZIONI POLITICHE
Cambiate le regole del gioco,
rinnovati i partiti, il sistema politico italiano si è avviato, in questo
inizio di 1994, ad una nuova tornata elettorale. Le novità dei risultati (prima
fra tutte la presenza e il successo di un movimento - Forza Italia - che non ha
eguali nella storia politica di altri Paesi industrializzati) rendono ancora
più interessante continuare l'analisi intrapresa nel paragrafo precedente. Anche in questo caso essa sarà di tipo
spaziale: dati i risultati regionali dei vari partiti e schieramenti([15]), tenteremo di vedere se
persiste, come verificato per il 1992, una qualche relazione con la maggiore o
minore concentrazione di iscritti ai sindacati confederali ([16]).
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figura
3
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La figura 3, relativa alla Camera
dei deputati, indica effettivamente la presenza di una serie di correlazioni
statisticamente significative. Anzitutto tra iscritti Cgil e percentuale di
voti guadagnati dal PDS ([17]). Quindi la relazione lineare tra
“base” della Cgil e voti al maggior partito della sinistra continua ad
esistere, in misura pressochè uguale a quella di due anni prima. Non
significativa, invece, è la relazione con i voti guadagnati da Rifondazione Comunista.
La distribuzione della Cisl segue, anche se non in maniera netta come l'altra
confederazione, quella dei suoi “naturali” riferimenti culturali e politici (lo
schieramento dei cattolici: il nuovo Partito Popolare di Martinazzoli e il
Patto di Mario Segni). Anche in questo caso abbiamo un valore del coefficiente
di correlazione che, seppur indica un’associazione di valore più modesto della
precedente (0,49), è dotato di buona significatività statistica (p=0,03). Per
gli iscritti alla Uil abbiamo, di nuovo, una relazione non eccessivamente forte
e indirizzata ancora una volta verso il PDS (r=0,51, p=0,02). Il risultato può sembrare, per qualche
verso, inaspettato, specialmente considerando la storia di questo sindacato.
Ma, a ben vedere, l’esito dell’elaborazione
è in linea con le prime analisi post-voto condotte sull’insieme della
popolazione: quel che sembra sia avvenuto è lo spostamento dell'elettorato
laico e socialista (di cui è probabile sia composta in larga parte la Uil),
forse anche nello spirito della nuova legge elettorale, verso i grandi partiti.
Una conferma di quanto detto ci viene esaminando la figura 4 che, essendo
relativa al Senato, esclude dal computo i giovani sino a 25 anni e, al
contempo, semplifica il pattern di analisi, mettendo a disposizione un asse
(Sinistra-Centro-Destra) che è tipico di gran parte degli studi di sociologia
politica.
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figura
4
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Come vediamo, anche questa nuova
elaborazione conferma la polarizzazione degli iscritti ai due sindacati
maggiori verso i propri schieramenti di riferimento e accentua la situazione di
travaglio degli iscritti Uil che, al Senato, sembrano aver privilegiato nella
stessa misura sia gli uomini presentati dai progressisti sia quelli del polo
pattista ([18]).
5. CENNI CONCLUSIVI
L'esperienza che abbiamo
presentato, pur essendo limitata e non ancora supportata da analisi statistiche
maggiormente raffinate, sembra in grado di indicare alcuni punti dai quali sarà
possibile partire per ulteriori approfondimenti. Quel che emerge dalla nostra
esposizione, in sostanza, è l'importanza esercitata dalle sub-culture politiche
locali nell'indirizzare sia le propensioni di voto sia la decisione di aderire
formalmente ad un sindacato. La metodologia applicata non permette,
naturalmente, di identificare quale sia, tra sindacalizzazione e comportamento
elettorale, la variabile dipendente (quella, quindi, che “spiega” l'andamento
dell'altra). Trattandosi di due macro-variabili, che sintetizzano comportamenti
sociali estremamente complessi, è ipotizzabile che esse siano, a loro volta, il
risultato di una combinazione di serie di fattori esplicativi più semplici.
Rimane aperta, quindi, la questione se sia l'adesione al sindacato che rafforza
i comportamenti politici o se non sia vero il contrario. Quel che è certo,
invece, è che l’ipotesi iniziale dello studio è risultata confermata: le due
variabili, misurate in maniera diretta (gli iscritti al sindacato da una parte;
i voti guadagnati dai partiti dall’altro) sono significativamente associate tra
di loro in maniera lineare. Nelle aree geografiche ove è maggiore la densità di
iscritti a un dato sindacato sarà più probabile, per i partiti che si
richiamano agli stessi valori culturali, politici e sociali, ottenere risultati
migliori. Da ciò discende una considerazione importante: che le sub-culture
politiche, nel corso del tempo, si sono forse de-ideologizzate e modificate in
varia maniera, ma rimangono tuttora uno dei veicoli primari per la formazione
delle scelte dell'individuo. E
continuano a svolgere la loro funzione di “schermare, allontanare, proteggere
gruppi sociali di varia origine e composizione” ([19]). Questo non implica
necessariamente una identificazione perfetta tra comportamenti sindacali e
politici. Gran parte delle ricerche svolte negli ultimi anni, al contrario,
indicano che, tra i lavoratori iscritti ad un sindacato, prende corpo un
atteggiamento più laico nei confronti delle proprie organizzazioni e che le
motivazioni "ideali" diventano sempre meno importanti per
giustificare l'adesione ad un sindacato ([20]).
Ma ciònonostante la nostra analisi
indica che gran parte del "popolo sindacale" continua a sentirsi
parte integrante di una cultura politica legata a riferimenti e a un
immaginario ben preciso, siano essi tipici della tradizione di sinistra o
cattolico-sociale. Questo, indubbiamente, permette ai sindacati confederali di
contare, nelle fasi critiche del conflitto sociale, su di una risorsa
importante, (per quanto immateriale) per aggregare le proprie forze attorno a
grandi obiettivi strategici. Forse,
tenendo conto di quanto detto è possibile anche rileggere gli avvenimenti degli
ultimi anni, che hanno visto il sindacato passare dalla fase critica delle
contestazioni di piazza (dopo l’accordo del luglio ‘92) alla quasi totale
adesione espressa dalla propria base sull’accordo di politica dei redditi
dell’anno successivo.
[1]) L’autore
desidera ringraziare Aris Accornero e Renato Mannheimer che, in tempi diversi,
hanno letto e commentato una prima stesura di questo articolo scritto in
occasione delle elezioni politiche del 1992 e, per varie cause, mai pubblicato.
[3]) Per una trattazione più estesa si rimanda ad
alcuni classici: A, Spreafico, J. La Palombara, (a cura di), Elezioni e comportamento politico in Italia,
Milano, Comunità, 1963; G. Sivini, Il
comportamento elettorale, Bologna, Il Mulino, 1967; utile è anche la
lettura delle voci dedicate all'argomento in N. Bobbio, N. Matteucci, G.
Pasquino, Dizionario di politica,
Torino, TEA, 1990.
[4]) Seppur discutibili come "predittori
immediati" del risultato del voto, infatti, gli exit polls costituiscono, almeno potenzialmente, un formidabile
metodo per l'analisi "a caldo" dei comportamenti elettorali.
[5]) Se
così non fosse, infatti, sarebbe difficile spiegare perchè, in condizioni di
pluralismo rappresentativo, si preferisca un’organizzazione anzichè l’altra.
[6]) Guido Romagnoli, in un famoso studio della fine
degli anni Settanta (G. Romagnoli (a cura di), La sindacalizzazione tra ideologia e pratica, Roma, Edizioni
lavoro, 2 voll.) giunse alla conclusione che la Cgil era in condizioni di
monopolio della rappresentanza nelle "aree rosse" del Paese, mentre
la Cisl, seppur in misura minore, era più fortemente radicata in quelle
"bianche". Mannheimer e Sani (cit.,
pag. 69-70), dal canto loro, affermano che "agli effetti del comportamento
elettorale ... il sentirsi parte di un determinato gruppo moltiplica l'effetto
che deriva dall'oggettiva appartenenza ad esso".
[7]) Per quanto concerne gli aspetti culturali delle
trasformazioni del sindacalismo confederale un classico è A. Accornero, La parabola del sindacato, Bologna, Il
Mulino, 1992; per gli aspetti quantitativi si veda: P. Di Nicola, Quarant'anni di tesseramento Cgil. 1949-1988,
Roma, Ediesse, 1989; P. Di Nicola, Sindacalizzazione
e rappresentanza negli anni Ottanta, <Ires Materiali>, n. 3, 1991.
[8]) Questo, almeno, sembra essere il risultato più
interessante di vari sondaggi condotti, ad esempio, sui lavoratori lombardi.
(Cfr. R. Mannheimer, I metalmeccanici e
la Lega Lombarda, cicl., dicembre 1990; Fiom-Cgil & Ispo, I Valori dei metalmeccanici lombardi,
Meta, Quaderni, 1993; D. La Valle, "Gli iscritti alla Cisl di Milano.
Ricerca 1993. Un sindacato che cambia", Prospettiva sindacale, n. 84, 1994)
[9]) Il Ministero dell'Interno, infatti, a fronte dei
nuovi collegi elettorali stabiliti con le leggi 535 e 536 del 20/12/93, non è
più in condizione di fornire i risultati per province, ma soltanto per regione
e collegio.
[10]) Con questo intendiamo dire che, tra le variabili
considerate, prese due a due, esiste una relazione statistica lineare, la cui forza è quantificabile
tramite il coefficiente di correlazione di Pearson (noto anche come
"r").
Per una più ampia
trattazione sulla tecnica statistica della correlazione si rimanda alla nota
pubblicata a parte.
[11]) Si veda, in argomento: P. Di Nicola, "Quale
confederazione per i lavori degli anni novanta", Politica ed Economia, n. 2, Febbraio 1992.
[12]) Come esempio di quanto detto viene spesso portato
il caso dei lavoratori agricoli e dei pensionati, che iscrivendosi possono
delegare il sindacato a svolgere per loro conto una serie di pratiche
burocratiche di difficile gestione (pensioni, indennità di disoccupazione,
ecc.).
[13]) Alla
Cgil risultano iscritti, nonostante il calo subito negli anni Ottanta, ancora
42 braccianti su 100, un valore quasi doppio rispetto a quello dell'industria e
quadruplo nei confronti del terziario. I dati sono stati pubblicati in P. Di
Nicola (a cura di), Oltre la crisi. I
futuri possibili della rappresentatività dei sindacati, Ires Materiali, n.
3, 1993.
[14]) Nel 1992 su 100 lavoratori iscritti alla Cgil ben 48 provenivano dal settore industriale.
[15]) Le elaborazioni relative ai partiti singoli si
basano sui risultati ottenuti per la quota proporzionale della Camera dei
deputati. L'incrocio sindacalizzazione- schieramenti, invece, si riferisce al
Senato della Repubblica. In questo caso è stato scelto di operare sul Senato in
quanto, escludendo il voto dei giovani sino a 25 anni, il corpo elettorale
"approssima" con maggiore precisione la composizione della base dei
sindacati confederali costituita, in misura crescente, di pensionati e di
lavoratori delle fascie centrali di età. Questo ci ha permesso di costruire un
indicatore della sindacalizzazione basato sul rapporto tra iscritti e corpo
elettorale, superando in tal modo le incertezze dovute alle recenti modifiche
operate dall'ISTAT per il calcolo delle forze di lavoro. (Si veda, per questo
aspetto: E. Di Pietro, "La nuova indagine ISTAT sulle forze di
lavoro", Economia e Lavoro, n.1,
1993)
[16]) In questo caso, infatti, opereremo sui dati
aggregati (lavoratori dipendenti, indipendenti e pensionati) di Cgil, Cisl e
Uil.
[17]) Il
coefficiente di correlazione r è pari a 0,74; la significatività
statistica è molto alta, superiore al
99,9 % .
[18]) Entrambe le correlazioni sono significative al
livello 0,01.
[19]) L.
Gallino, Dizionario di sociologia,
Voce SUBCULTURA, Torino, Tea, pag 679.
[20]) Di veda, in argomento: I. Regalia, "Aderire al sindacato. Forme,
modelli, ipotesi di lavoro", Quaderni
di Sociologia, 1988